Intervista con Antonio Ghirelli

apparsa sulla rivista Fermenti n. 3, Marzo 1975

a cura di Marcella Continanza Garfì

La sua poesia esprime un impegno, vuole avere un messaggio: c'è qualche avvertimento che vorrebbe dare ai lettori?

Posso rispondere solo relativamente alla « Ballata » che rappresenta una sortita assolutamente isolata. Non sono poeta, non ho mai scritto versi se non, come tutti, a 18 anni. Il messaggio che ho voluto lanciare l'avvertimento di cui alla sua domanda è che l'emigrazione è una condizione umana infernale e che costituisce una vergogna per la comunità nazionale che la impone a masse così vaste di suoi cittadini. E' più di un secolo che la classe dominante italiana ha risolto, con l'emigrazione, problemi sociali che si sarebbero dovuti affrontare con una trasformazione delle nostre strutture politiche ed economiche. Quando non lo ha fatto con le guerre, un imperialismo coloniale grottescamente anacronistico, il fascismo.

Come spiega il successo fra il pubblico, che di solito — si dice — sia sordo alla poesia, della sua « Ballata dell'emigrante » chiesta più volte alla radio, e chiesta a lei direttamente?

Il successo della « Ballata », che ha stupito me per primo, deriva dalla verità della denuncia che contiene e che tutti gli italiani onesti hanno sperimentato e sperimentano, direttamente o indirettamente, sulla propria pelle. Non si tratta, a ben riflettere, di successo ma di commozione. La poesia civile, quando non è retorica, tocca il cuore di chi la ascolta o la legge.

Che cos'è per lei la letteratura?

La letteratura è il momento più alto dello spirito, più completo a mio modo di vedere della pittura e della musica. In principio, non era il Segno o il Suono ma, come dicono le Scritture, il Verbo.

Ritiene che la rievocazione della storia di Napoli, ci riferiamo al suo libro edito da Einaudi, possa essere utile alla comprensione della realtà napoletana d'oggi?

Ho scritto la « Storia di Napoli » per dimostrare, documenti alla mano, che la degradazione della città e dei suoi abitanti va addebitata esclusivamente alla classe dirigente, prima aristocratica straniera, poi borghese e italiana, che è andata via via dilapidando l'enorme tesoro di energie intellettuali, morali e umane di un popolo meraviglioso, distruggendo per giunta la stessa incomparabile bellezza di Napoli. Non si può comprendere la nostra realtà di oggi, se non si conosce la storia di ieri, e non si cerca di individuarne il filo rosso che lega i fatti e gli uomini.

E' giusto parlare — come a volte si è fatto — di una «linea napoletana» nell'ambito della letteratura meridionale?

Certamente, una « linea napoletana » nella letteratura meridionale c'è, perché c'è una cultura nazionale-popolare della città. Tralasciando gli scrittori precedenti all'annessione, basterà citare nomi come quelli di Matilde Serao, Di Giacomo, Viviani, Eduardo De Filippo, La Capria, Prisco, Rea, Compagnoni, Bernari, Gatto, per rendersi conto di quale sia stato l'apporto della letteratura napoletana. E non ho nominato che gli autori di maggior rilievo; ma l'elenco potrebbe essere assai più lungo e completo.

Quale libro l'è piaciuto di più, fra quelli pubblicati nel 74

La « Storia » della Morante e « Rivoluzionaria professionale » di T. Noce.

Secondo lei qual è la funzione dello scrittore e del giornalista nella società di oggi?

Scrittore e giornalista hanno in comune il dovere di testimoniare la verità. Naturalmente lo fanno in modi assai diversi. Nel caso dello scrittore, i tempi sono infinitamente diversi, più rarefatti, più autonomi. Il tragico fallimento del « realismo socialista » ha dimostrato senza possibilità di dubbi che il rapporto tra l'artista e la società non è quasi mai diretto né esplicito, ma passa attraverso gli impalpabili fili della sensibilità poetica.

Quali le cose che più la interessano?

La donna, i libri, le lotte di classe.

A cosa sta lavorando?

Sto tentando di scrivere la seconda parte della mia storia: « Napoli italiana ». Le vicende della città dall'ingresso di Garibaldi ai giorni nostri. Dai liberatori piemontesi ai vandali interni. Un libro tragico ed umiliante, che tenterà tuttavia di esprimere anche l'ineffabile bellezza dei nostri poeti, della nostra gente, degli ultimi barbagli della grande tradizione partenopea.

a cura di Marcella Continanza Garfì