Intervista a Dario Bellezza

a cura di Velio Carratoni

apparsa sulla rivista Fermenti, Aprile-Maggio-Giugno 1976

Dario Bellezza, foto di Guglielmina Otter

Dario Bellezza, foto di Guglielmina Otter

Da Lettere da Sodoma al Carnefice e arrivando a Morte Segreta i tuoi contenuti so­no diventati casti, misurati, freddi. Tutto ciò fa pensare ad una compostezza che sa di svolta, di approdo ad un esito di avversione per certe forme compiacenti e forzatamente realistiche. Perché?

Perché mi sento molto vecchio e mi piace esserlo. Amo i vecchi perché hanno rag­giunto il momento sacro della vita, perché de­vono morire. Io amo la morte, in quanto sono convinto che è un passaggio. Non significa che sono cattolico. Non credo nei premi e nei castighi.

Dal realismo sembri essere approdato ad un misticismo laico sì, ma trascendente. Dal misticismo non vorrai mica arrivare al sur­realismo

Non corro il rischio di arrivarci. La mia formazione è di tipo razionalista. Per arriva­re al surrealismo bisogna essere irrazionali. Il surrealismo è un prodotto della cultura france­se. In Italia non c'è la possibiltà per un vero surrealismo. L'Italia è un paese provinciale di ignoranti, di politici mafiosi che non leggono, dove un Pasolini può essere ucciso due volte: una volta nella realtà e un'altra dall'opinione pubblica repressa e fascista sessualmente, per cui viene un grande schifo e una voglia di an­darsene per sempre

Moravia ha detto di recente che solo il realismo potrà salvare la nostra letteratura. Sei d'accordo?

Moravia porta acqua al suo mulino. Cre­do che ogni forma d'arte sia permessa quando ha dei contenuti morali dentro. Le avanguardie non hanno contenuti, in quanto sterili e for-maliste. Il discorso di Moravia può avere un significato se attribuito al formalismo dell'avanguardia.

Perché hai rinnegato, in certo senso, il realismo?

Non l'ho rinnegato. La realtà che mi appare non mi basta. Voglio mistero, sciagura, caso, caos, droga e fortuna. Se queste cose so­no nel realismo, ben venga. Se il realismo è soltanto Useppe della Morante, allora abbasso il realismo.

La tua contenutezza, il tuo intimismo di arrivo, il pessimismo desolato ed a volte com­piacente, in quanto non sempre freddo e di­staccato, non fanno pensare un po' troppo a Leopardi?

No. Leopardi non c'entra per niente. Io tengo conto dell'inconscio, della psicoanalisi, di Jung. Potrei dire che Leopardi sia stato influen­zato da scrittori pessimisti come Epitteto. Io mi sento più grande di Leopardi. Perché più complesso e più intelligente. A me piace anche godere, punirmi, andare agli inferi e trasfigurarmi

La tua compostezza di approdo spesso contraddittoriamente non rigetta di ricalcare certi moduli tipici del maledettismo romanti­co e dell'infernalismo baudelairiano. Perché?

Questo già me l'hanno chiesto. Molte impressioni sono affini a lui perché sono poe­ta cittadino. Lo stile è però diverso.

Pasolini che tu hai amato e poi deside­rato di tradire, anche se non l'hai fatto, negli ultimi tempi esprimeva giudizi denigratori ver­so i giovani. Il tuo libro Morte segreta l'hai in­vece dedicato ad essi per amore o per illusio­ne ingenua di volerli migliorare

Dario Bellezza, foto di Guglielmina Otter

Dario Bellezza, foto di Guglielmina Otter

Pasolini sentiva la morte che incalza­va. Era però cieco di fronte alla realtà. Non riusciva più a comunicare con loro, essendo cambiato lui, non i giovani.

II misticismo espresso in, Morte segreta non pensi che di laico abbia solo la compo­nente formale. Essenzialmente sembra di natura cattolica. Perché?

o sono buddista. Il mondo non esiste. E' un'illusione dei nostri sensi.

Perché piaci particolarmente ai cattolici come scrittore e poeta?

Lo spiritualista è ben accetto agli spiritualisti. Attendo che i cattolici si occupino di me in maniera concreta. E poi si dolgono di non avere scrittori. Io mi ritengo universa­le. Per gli argomenti come Dio, la morte ecc.

Un mio amico, filologo e bibliografo sia scrivendo su di te uno studio che si intitola « Bellezza o della sessuomania ». Oggi uno stu­dio del genere ti sembra rivolto al passato

Credo che mi faccia un torto una let­tura in chiave erotica. Ciò che conta in me è lo stile. Ritengo quindi che faccia un arbitrio. Gli dei ci hanno concesso di essere casti e di descrivere gli amori altrui. I corpi mi fanno schifo. Noi siamo cadaveri in giro.

Non avresti dovuto scrivere Storia di Mino? Che ne hai fatto?

Ora sto scrivendo una storia eterosessuale in forma di romanzo. Si narra di un drogato che si innamora di una vecchia. Storia di Mino l'ho tralasciato. Doveva essere l'educazio­ne sentimentale di un giovane. Improvvisamente non mi ha più interessato.

In Contro Roma, edito da Bompiani, an­che tu hai rivolto una diatriba a Roma. Pasolini ti consigliava di lasciarla in quanto ti comuni­cava uno stato di depressione e di malattia. Ep­pure a Roma sei ormai legato come ad un cor­done ombelicale. I tuoi libri parlano di essa, sia pure come elemento di contorno. Tu per scri­vere hai sempre bisogno di uno stimolo maso­chista. E Roma finora te l'ha dato

Roma è un pretesto, ma è anche un grande amore. Tradirla significa morire. In Ita­lia è l'unico luogo ove si possa vivere. La con­traddizione è solo apparente. Shakespeare dice­va che ci contraddiciamo. Pasolini non capi­va niente di Roma. Era un provinciale. Proiet­tava non conoscendo bene se stesso il suo odio per se stesso. Non si accettava come omoses­suale. L'articolo non è contro Roma. E' una protesta cosmica. Quella di Pasolini era solo determina dal fatto che non si appagava ses­sualmente. La mia protesta è assoluta. Si vive male ovunque.

Cosa intendi per poesia della neoavan­guardia « nata morta » in quanto « fatta dai professori per i critici letterari, senza rapporti con la realtà » come hai affermato alla Maraini su Paese Sera del 3 marzo di quest'anno. Dicen­do ciò non hai però fatto nomi. Non ti senti di farli?

Considero poeti solo Dante, Leopardi, Baudelaire, Sandro Penna; tutti gli altri sono dei cialtroni. Non credo che la poesia passi attraverso i calcolatori elettronici. Sanguineti, Pagliarani, Zanzotto sono merda. La narrativa in Italia è abbastanza fiorente. Ammiro Bassani, la Ortese, Moravia, la Ginzburg. La critica letteraria non esiste. Io faccio il critico a tempo perso, per guadagnare. La critica è morta da quando non ci sono più Cecchi, De Robertis.

Moravia ti ha definito « manierista ». Fino a che punto ti senti tale?

Moravia è un manierista. Mi sento originalmente unico e favorito dalla grazia.

I versi di Morte segreta erano stati pub­blicati qualche mese fa su Nuovi Argomenti. Perché così presto si è sentita la necessità di raccoglierli in volume per presentarli come opera nuova e di prima mano. Non pensi die in tal modo i lettori, che purtroppo sono sem­pre gli stessi, si possono sentire inutilmente soddisfatti del potere editoriale nella loro esi­genza del nuovo e dell'inedito?
Perché di questo non si fa alcun cenno nel libro? Ciò purtroppo avviene per troppi testi che divengono tali solo attraverso una raccolta desunta da giornali o riviste usciti di recente. Non pensi che è meglio farlo con più efficacia a distanza di tempo?

Erano cinque anni che non scrivevo un libro di poesia. Scrivere un libro di poesia è un eroismo. Un libro di poesia non si pubblica per speculazione. La storia della Morante, sì. In­vettive e licenze è ormai vecchio. E' del 1971.

Oggi per divenire scrittori o poeti o cri­tici degni di un certo credito occorre essere tenuti a battesimo o proposti da altri autori che contano. Tu hai avuto al riguardo Pasoli­ni e Moravia. Chi non ha l'occasione di essere lanciato da personaggi del genere deve cam­biare mestiere o attendere di essere scoperto, ossia pubblicato e quindi letto non si sa come e quando. Si pubblicano sempre gli stessi nomi o se si è imposti o proposti da qualcuno si può essere presi sul serio. Non vi sarebbe un altro modo che possa meglio di certi concorsi lette-rari e dell'industria del sottosuolo (che giornalmente da il battesimo a poeti e scrittori per farli restare ignoti) segnalare di tanto in tanto qualche nome degno di considerazione?

La situazione è ingarbugliata. Chi vuole dedicarsi alla leteratura deve affidarsi alla sua voglia di resistenza nel tempo. Fare lo scritto­re è una missione. Non è come fare il pesciven­dolo. Basta pensare a Baudelaire o a Rimbaud per rendercene conto.

Ci vuoi parlare del nuovo romanzo che stai scrivendo?

No. Non vorrei perdere il piacere di scriverlo.

Vuoi dire qualche altra cosa su Morte segreta?

Credo che con le tue domande ho esau­rito il concetto del libro. Uno è sempre un po' strabico per se stesso. Vorrei concludere con una metafora. Se uno mi chiedesse: « Qual è il mio vero destino, ri­sponderei »: C'è una montagna che devo sca­lare; sopra c'è una donna che piange; le lacri­me si trasformano in fiume. Questo arriva al mare della luce e con le lacrime arrivo anch'io, in quanto sono la luce.