Intervista con Enzo Brunori

apparsa sulla rivista Fermenti n. 201

a cura di Velio Carratoni

Consultando la sua Bibliografia si rimane colpiti per la varietà dei giudizi. Da Ponente a Crispolti, da Venturi a Calvesi, da Dorazio ad Argan, sono stati molti ad occuparsi di lei. Chi l'ha capita e chi no?

Gli autori che lei menziona sono relativi alla mia bibliografia degli anni '50, ma sono mal assortiti e impropriamente associati, sia per quel che mi concerne, sia riguardo al contesto più generale. Birolli, Carandente, Valsecchi, Russoli ed altri scrissero pagine illuminanti sul mio lavoro. Allora il nume della critica di punta era Lionello Venturi, per il suo carisma internazionale, ogni sua segnalazione era un grande richiamo d'attenzione e accentramento d'interesse; quindi incompatibile con gli altri.

Foto di Enzo Brunori

Brunori alla finestra del suo studio romano,
foto di Pino Passalacqua

Ne prendo atto e faccio ammenda di aver ceduto alla consuetudine di accumunare questi nomi quando si parla di lei.

Una consuetudine che ritengo debba essere disdetta, non solo perché è irriguardosa ma, espressione di confusa memoria di un periodo dell'arte dei più vitali. In genere, oggi, la critica è solita far uso proprio dei fatti dell'arte, vi è un deliberato impune consumo di vaga e cattiva memoria. Questo certo non aiuta i «sovraffaticati» nervi dell'arte.

È nata la sua riluttanza a parlare di sé, in particolare di quegli anni che, nonostante la giovane età la videro in primo piano, pittore molto ammirato e discusso da artisti, critici, collezionisti e mercanti, non solo italiani. Vuole ricordarli per i nostri lettori?

Parliamone. L'interesse per me, iniziò con la mostra personale alla galleria Schenaider, prima ero guardato da alcuni artisti e maestri della scuola romana, «le mimose» mi alienarono la stima di Prampolini che, mi bollò di tradimento monettiano, e mi portarono l'appoggio dell'ala venturiana, Lionello Venturi mi era vicino già prima che mi trasferissi a Roma, appena dopo il suo rientro in Italia. Dato che li chiama in causa per me, rammento, Crispolti e Dorazio erano ai loro primi vagiti, l'uno di storico e l'altro di adepto dell'astrattismo. Quel che scrissero, molto il primo e poco più di una nota il secondo nel suo zibaldone che titolò «fantasia dell'arte». Non erano personaggi chiave anche se si agitavano molto per sembrarlo. Ho il sospetto che scrissero per entrare attraverso me nelle grazie di Venturi, comunque non attesero lo svezzamento per cercar di cancellarmi, specialmente Crispolti.

Perché specialmente Crispolti?

Valuti lei; sulla rivista della Biennale iniziava un articolo su di me, pressapoco così: non vi è dubbio che da alcuni anni Brunori è punta diamantina dell'avanguardia italiana. Dopo pochi giorni, su altra rivista mi licenziava pressapoco così: non vi è dubbio che Brunori, da alcuni anni è in netta involuzione ecc... ecc... Riguardo poi ad Argan, non è un mistero che non si è mai interessato del mio lavoro perché, a suo dire ero sì un buon pittore ma, nel torto di aver sbagliato di secolo. La battuta mi è stata riferita. Comunque per quel che mi risulta, egli poco più che mi cita nella prefazione alla riedizione italiana di una pubblicazione tedesca. D'altronde in quegli anni non era il mentore reggente dell'arte italiana che divenne dalla morte di Venturi in poi.

In quel che dice vi è un ridimensionamento di figure e di ruoli che stride con l'immagine che corre oggi in quel periodo.

Me ne rendo conto, non mi piacciono le immagini ingannevoli, a chi piacciono peggio per lui. La mia testimonianza vale innanzitutto per ciò che mi riguarda, in quanto attore di quel momento, e sotto questo profilo posso dire che Ponente e Calvesi avevano altra caratura ed efficacia critica, altra capacità di convincimento. Entrambi puntarono forte su di me, molta della considerazione in cui fui preso allora la debbo al loro sostegno. Ed in particolare a Laura Drudi Gambillo che tra tutti si distinse per convinzione ed impeto di propagandazione del mio lavoro. I tempi cambiano e così con loro, idee e valutazioni degli uomini, mi fa sempre male e mi indigna però che si mescoli alla rinfusa Lionello Venturi con gli altri, e mai ricompaia Laura Drudi, parlando di una stagione felice dell'arte, di maggiore austerità e dignità degli artisti.

Non è che l'abbia fatto apposta di «accumunare» Venturi con gli altri, non intendevo essere irriguardoso, dispiacerle. Questa mia mancanza però è servita a risvegliare l'«Anassagora» e «Ariete di Villa Massimo», come la determinò il compianto scultore Marino Mazzacurati, facendoci ritrovare il Brunori appassionato e combattivo, dopo anni d'appartato silenzio.

Guardi, non ho mai smesso d'essere combattivo e sono sempre stato lo stesso dei grandi amori e delle tenaci avversioni, che Ponente tratteggiò in un divertito ritratto. Mentre, ha ragione, mi mostro sempre meno volentieri in pubblico, il fatto è che non ho ancora imparato a difendermi dagli amici dell'arte, fra questi di oggi poi non mi ci ritrovo proprio.

Non è il solo a manifestare segni di insofferenza e di rigetto dell'attuale sistema dell'arte, ad estraniarsi per vivere la propria vicenda artistica in silenzioso isolamento, tant'è che è pressoché impossibile per il pubblico sapere ciò che fa. Anche se la domanda è retorica ugualmente le chiedo, come giudica i colleghi onnipresenti e la critica di punta?

La pittura non è chiamata a dover esprimere giudizi ma a dar prova di qualità, ciò pretende molta riflessione e modi e tempi di lavoro in netto contrasto, almeno per me, con le regole del gioco che, l'arte oggi gioca. Di qui le ragioni del mio auto-esilio che non chiamerei isolamento ma semmai solitudine, peraltro assai popolata e ricca di conforto. Lei lamenta la difficoltà di sapere per il pubblico, che diamine, chi vuol sapere sa, magari dovrà faticare qualcosa in più, eppoi siamo o non siamo nell'epoca dell'informazione?
In ogni caso di questa carenza di notizie non è che a me che si deve fare imputazione

La situazione però è che, dal Brunori conclamato ed acclamato siamo finiti ad un Brunori oscurato da una coltre di silenzio nonostante che lei abbia prodotto con continuità ed esemplare coerenza opere di grande interesse. Una situazione della quale non sembra dispiacersi, anzi pare quasi che la diverta.

No, non mi piace e nemmeno mi diverte ma, cosa debbo fare andare in giro per le piazze a suonarmi la grancassa come certi miei colleghi? Ho sempre confidato sulla forza di riscatto delle opere, però dall'avvento dei «critici Star» sembra che la speranza sia meno certa. Penso alla splendida mostra antologica di Birolli alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, alla inaugurazione vi erano, fra parenti ed amici, così poche persone da non riempire una comune galleria d'arte, ed i magnate della critica hanno brillato per la loro assenza, anche quelli che si son fatti le ossa ed hanno preso cattedra sul suo lavoro che giudicavano dei più interessanti. Stessa musica in occasione della mia antologica a Perugia e poi a Faenza, un vero e proprio abbraccio di popolo con gente venuta da ogni parte d'Italia e dall'estero ma, dei critici che si distinsero per le forti puntate su di me, neanche l'ombra salvo Cesare Vivaldi. E sì che erano stati invitati!

Lei figura in prestigiose collezioni e musei stranieri mentre brilla per la sua assenza dalle raccolte pubbliche nazionali.

Infatti gran parte del mio lavoro è all'estero, seppure ve n'è testimonianza in molte raccolte private per tutta l'Italia, specialmente al Nord. Mentre vi è un solo dipinto nelle cantine della gallerìa nazionale d'arte moderna di Roma, preso da Palma Bucarelli alla Pubblica Istruzione. Dipinto per il quale mi fu assegnato il premio d'incoraggiamento per giovani artisti. Inoltre, qua e là figuro in qualche Istituzione di carattere locale.

Lei ha conosciuto un'invidiabile serie di personaggi di rilievo internazionale, dal poeta Ungaretti al giurista Massimo Severo Giannini, da Franco Rodano a Riccardo Lombardi e Giolitti, dall'architetto Giovanni Michelucci all'editore SKIRA, dal regista Mark Robson all'attore Jack Palance. Chi di questi gli è stato più vicino?

Nella vita accade di incontrare molte persone, e la mondanità della pittura porta inimicizie e amicizie al pittore, lo gratifica di significativi incontri. Perciò lasci che includa fra i nomi da lei ricordati Bernard Dorival, l'illustre storico dell'arte, alla cui considerazione debbo la mia presenza al museo d'arte moderna di Parigi e molte altre cose.

Abbiamo parlato degli amici, e i nemici?

Nonostante ci si lamenta del mio carattere difficile, ho sempre cercato di non dispiacere agli altri, tuttavia ho a chi confidare «i mìei tristi pensieri», ed a chi accompagnarmi che non «ha paura di restare ignoto» e sarebbe lungo citarli tutti.

a cura di Velio Carratoni