Il respiro del tempo

Prefazione di Donato Di Stasi

II respiro del tempo è un poema in assoluto lirico, visionario, d'una lucidità rastremante, solenne come un crinale montuoso, incessante come un paesaggio marino. Vi si svolge una poetica dell'armonia universale, predisponendo pensiero e immagine alla condizione solidale di minuziosi assertori di emozioni. Il nunc stans del testo consiste in una duplicità di intendimento: adeguare i versi alle ragionevoli leggi dell'esistenza, intraprendere una rivolta metafisica che spezzi la misura del conforme e liberi la hybris della passione.
Carmelo Percipalle idoleggia il movimento cosmico, perché avverte la corrotta imperfezione del mondo, a cui oppone il supremo diletto della poesia, il suo esempio attento che privilegia ancora l'archeologia dei sentimenti.
Le ricorrenti parole d'amore, edificate in tempio ("Solo un vento,/leggero/il suono delle nostre anime"), congegnano di scoprire un varco nel trascendente, rievocano la grazia attraverso il processo mediato della descrizione ("Di una danza leggera/su di te/vedrò adagiarsi i pensieri"), mostrano le fuggevolezze, le illusioni , gli incanti della contemplazione amorosa, secondo lo spettacolo del desiderio. Segue la ricerca eraclitea dei contrasti con la quale l'Autore s'ingegna a ri-velare le cose come sono, rovesciando il còte romantico nella carnalità dei sensi, dove dissonanze e trivialità confermano che ogni realtà si risolve sempre nel suo opposto, e che non vedere, indugiare nell'accorgersi, indulge alla bolsa chincaglieria del moralismo ("... Teneri Amanti sui percorsi/delle terre e fiori sbocciati sulle pattumiere astrali e Tu/calda mano protesa sui miei genitali con innocente passione").
La perifrasi amorosa vale come atout per cambiare la vita (Rimbaud) e attenuare le differenze con l'Altro, riconosciuto nella coscienza profonda del suo essere: l'antistoria delle relazioni umane raccoglie il grido disperato di tutte le generazioni soverchiate dalla politica ingannevole, che continua a gettare guerre imperialistiche ai piedi dell'inferno quotidiano. Il tema del bene e del male rimanda al tema dell'innocenza originaria, imprescindibile per un Autore che si disponga a formulare un'ipotesi escatologica di felicità per sé e per gli altri ("E le stagioni riversano i loro odori e le loro/speranze/sulle generazioni umane./La bambina tibetana dona il suo/Cuore/alle vestali del mondo e inonda/di tenui e fragranti/speranze le nostre fresche e dorate/albe").
Il respiro del tempo porta sulla pagina il tumulto storico e sociale del postmoderno, qualificando il narcisismo cosmetico (e tutta la sua sequela di degradazione) come la iattura di un'epoca decaduta e sentimentalistica, che arroga all'individuo solitario, satollo di sé, l'esserci heideggeriano, dissolvendo nell'inutilità ogni idea di ordine generale, qualsivoglia questione inerisca ai tributi della collettività. Lo scadimento della comunità (gemeinshaft) in società (gesellshaft), lo stabilirsi di vincoli puramente formali, esteriori, esclusivamente giuridici, allontana le persone dallo stupore, dalla meraviglia ("Ed ho visto sbriciolarsi il muro di fatale rassegnazione/eretto da burocrati il cui sedere era ricolmo di pensieri").
Di fronte a tale dispersione esistenziale, II respiro del tempo si aggruma intorno a un io poetante di forte valenza lirico-simbolica: l'unità poietica e concettuale avversa le potenze del vuoto e del nulla sempre in agguato in una struttura economico-produttiva che ha imposto la polidimensionalità virtuale sull'arcaica univocità della coscienza ("E divieni parte della fragranza della natura che ti/compenetra e ti esalta./Inizi il tuo viaggio e,/ancora fremente e intrisa di rugiadose essenze, /contempli la tua meta,/il luogo ritrovato/dove tutto è luce, calma e armonia").
La poesia è avvertita da Carmelo Percipalle come luogo sacro ("E il ritorno del tuo Divino Ardore/permea ogni parte del mio corpo"), dove poter reperire ogni tipo di espressione senza sforzo: si va dal recupero dannunziano ("Inebriandoci di ogni virgulto") alla sonorizzazione beat ("Ho versato lacrime e feci e sperma"), che si ricollega a Mexico City Blues (1959) di Jack Kerouac. Compare nel Respiro del tempo la stessa carica spirituale, la medesima chiave immaginativa per altri mondi, per sfuggire al soffocamento dell'individuo nella ragnatela consumistico-distruttiva della contemporaneità.
Modulati come improvvisazioni jazzistiche ("Oltre paradisi di cascate/nella valle di gemme splendenti/in un antico oceano rubi-neggiante/terreno di splendore sconosciuti"), i Chorus di Kerouac prolungano la loro scia dialettica nei frammenti del testo qui esaminato ("E tu veste splendente sui fiori del Giardino delle Delizie/e tu risuonante sinfonia sul mio/Corpo Eterno").
Si ritrovano in Carmelo Percipalle la fluidità zen ("Svolazzanti buddha/nelle ariose/notti di primavera"), i deliri visivi accompagnati dal sovrapporsi frenetico di immagini ("E quali piazze si svolgono/davanti a noi pregne di cervelli/infranti delle masse umane che, sanguinolente e lacere,/si fissano nei nostri cuori?"), il conversare amoroso di evocazione non solo italiana, mi riferisco in particolare alle accensioni universalistiche della poesia di Paul Eluard.
L'approdo di questa poesia è difficile, perché le risposte vengono cercate secondo una personale ansia religiosa che in tutti i casi è arduo condurre a una spiegazione definitiva.
In alcuni passi del libro sembra che le improvvise apparizioni mistiche ("L'angelico figlio dell'uomo") e le deliberate, anticulturali impoeticità ("Sgranocchi le nocche") vogliano raggelare i frantumi della testualità solita e dell'accademismo pedante; in altri l'autore rifluisce verso un'estetica più controllata e tradizionale, per sostenere l'attualità e la forza comunicativa della poesia ("Gli occhi/del/mondo/brillano/incastonati/nella tua/anima").
Non è un caso che Il respiro del tempo si apra con Nota a Urlo, l'incipit strafamoso di Ginsberg ("Ho visto le menti migliori della mia generazione"), rivitalizzato da una scrittura che conosce il respiro lungo di Whitman, come le divaricazioni cielo-terra fra ennui e idéal di Baudelaire.
La filiazione diretta da questi autori allude, credo, alla stessa irreparabile perdita di umanità, che gli scrittori americani della beat generation, compresi Corso, Ferlinghetti, O'Hara, Orlovsky, chiamavano tenderness.
Per questo le nuove Colonne d'Ercole sono divenute Corruzione e Crudeltà: il loro superamento concerne la possibilità stessa che si possa parlare di una rigenerazione spirituale dell'uomo ("Il mio pensiero si inabissa/nel vortice del tramonto,/in attesa di una nuova ebbrezza,/di una nuova alba/di una nuova rinascita").
Opera per definizione antisolipsistica, Il respiro del tempo notomizza il vissuto per isolare e rendere incandescente l'energia che muove da una transazione all'altra della voce; si registra al riguardo una tendenza essenzialmente a parte objecti, perché valuta l'indissolubile legame del soggetto scrivente con l'esterno, fisico e immateriale, oltre che la partecipazione al modo di essere di tutti gli altri esistenti. Tale chiarezza di contenuto si riverbera nel lavoro prosodico di natura accentuativa, fondato su una libertà compositiva che trasforma a volte drammaticamente, a volte con ironia il dictum in fictio.
La dimensione stilistica del libro è nell'essere costantemente fuori-misura: se si riscrive l'haiku, si abbandona la canonica terzina, scandita da quinario-settenario-quinario, per debordare p. e. in una quartina composta da un quinario e un settenario per sinale-fe, da un senario e un novenario di chiusura ("Cena eccessiva/primo troppo abbondante./Il pianto si estingue/sulle montagne della luna"). Oppure si rielabora la canzone a ballo di ascendenza medievale, ma la si incupisce in un tragico espressionismo appena mitigato dalla soteriologia amorosa, dipanata lungo una sola strofa di versi ipometri e ipermetri, più attenti al battere ritmico che alla melodia fine a se stessa ("Si fa smagliante/sfolgorante/presenza./E i tuoi teneri bagliori/si infrangono nelle mie mani").
L'essere stilisticamente fuori misura è determinato dalla necessità di dirigere la percezione del reale al di là del consueto, del banale e omologo senso comune: riesplode il mito di Edipo che si acceca perché il suo sguardo sia esaustivo e nessun aspetto, anche il più doloroso (l'incesto con Giocasta), sfugga, o venga oniricamente rimosso.
Il respiro del tempo fissa filoni lirici assimilabili a una tradizione letteraria riconoscibile, contemporaneamente tenta una nuova calibratura del rapporto poesia-mondo: la riuscita di un simile tentativo è il vaglio che si sottopone alla passione dei lettori

Donato Di Stasi