IPERPOEMA

di Maria Teresa Ciammaruconi

prefazione di Donato Di Stasi

Scritto in punta d'intelligenza, spendendosi l'Autrice a cavare sentimenti e idee mai di maniera, tranne un leggero surplus di intellettualismo, Iperpoema assume le fattezze di un'opera tripartita nella struttura (materiali psicologici, didascalico-filoso-fici e onirici), monodica nell'essenza (tentativo di porre fine all'esilio dalla coscienza e dalla realtà). Con un originale mélange di osservazioni scientifiche e impennate mitiche Maria Teresa Ciammaruconi cerca nella scrittura un'energia nuova, capace di andare a pungolare il nervo dell'enigma esistenziale.

Nella foto da sinistra Alberto Scarponi, Mariateresa Ciammaruconi, Donato Di stasi

Nella foto da sinistra Alberto Scarponi,
Mariateresa Ciammaruconi, Donato Di stasi

Se la contemporaneità galleggia in un sopravvalutato, interminabile presente (il tempo-spazio della Palude Globale), la letteratura può impegnarsi ancora nella dis-articolazionc espressiva per rintracciare laceri i di senso?
Sembra di sì, se Maria Teresa Ciammaruconi non teme di viaggiare in una oscura logosfera con la sua vocazione antidogmatica, curiosa per i variegati linguaggi circolanti, aliena dal mero vagheggiamento lirico (il fardello crepuscolare-ermetico di una tradizione alta, ma consunta e inattuale), disposta a rischiare le incognite di un contatto vivo e permanente con la materia sonora, avendo rinunciato alla gratificazione immediata del verso a effetto.
Iperpoema si configura come un canone polifonico a tre voci (43 Frammenti, 12 Ipotesi, 12 Sogni), diverse per stile e attrezzeria concettuale, ma solidali nella configurazione di un labirinto minuzioso, pitagorico, dove applicarsi a tendere il filo che congiunge cose e luoghi altrimenti alteri e fuggevoli ("Tengo strette le radici/che legano le caviglie/e mi lasciano sospesa//non mi appartiene.../il nulla", Frammento II). Il riconoscimento della complessità del reale comporta la pulsione biologica onnivora a fagocitare linguaggi, stili e poetiche allo scopo di comporre un'opera che prova a salvare e a salvarsi, moltiplicando postulazioni e gangli emotivi (il termine opera inteso come plurale del latino opus). Iperpoema si palesa come un'allegoria di se stesso, determinando con la sua componente immaginativa l'individuazione dei varchi di comprensione, la saldatura dei rapporti io-mondo, la rivitalizzazione della parola Storia ("nell'ovatta delle nebulose/fragilità millenaria/per dare nomi antichi al bianco/e umani/ a quelle isole universo", Nona Ipotesi). Ripristinare le condizioni frantumate della comunicazione interpersonale non è possibile se non in presenza di una forma-progetto, alla quale il lettore può partecipare attivamente, essendo chiamato a dialogare con il farsi della scrittura e non a subire supinamente il fatto poetico ("l'ordine di un endecasillabo/da forma al vento/che passando tra la vita e le cose/lascia alle foglie/il compito di ricominciare", Frammento XXXI).
Questo spiega perché l'Autrice si muova coraggiosamente fra la struttura aprioristica dell'atto creativo e il suo correlato intenzionale, la comunicazione d'esperienza, utilizzando reperti archetipici (il frammento filosofico di Anassimandro risalente al VI sec. a.C.), moduli scientifici (cellule, corpuscoli, nuclei "di materia posseduta", molecole), indicazioni emble-matiche raccolte da un'interiorità intricata e magmatica, poi sviluppate sulla pagina secondo scansioni rapide (la lama radente del disagio, le accensioni emotive, l'angoscia di non arrivare a capire).

Nella foto le lettrici alla presentazione di 'Iperpoema' di Maria Teresa Ciammaruconi

Nella foto, le lettrici di brani tratti da "Iperpoema"

Come non si possono immobilizzare i dati corporei-percettivi, perché bisogna riconoscerne la frequenza, il movimento, la durata, così il gesto estetico aziona la mitopoiesi, derivandone una poesia quantitativa, fortemente ritmica, recitata coram populo a dispetto della distanza incommensurabile che separa oggi produzione letteraria e letteratura. Se il cachinno carbonaro ammannito a pochi adepti non serve più a nessuno, Iperpoema con la sua moderna e intrigante struttura a mosaico (dalle viscere dei sentimenti agli sconfinati spazi astrali), prova a intercettare i gusti del pubblico, altrimenti dispersi in innumerevoli surrogati dell'arte e della letteratura ("mentre intorno la folla s'infiamma e confonde", Il sogno di Paola). Maria Teresa Ciammaruconi getta lontano il gheriglio di una ricerca inesausta, dittologicamentc divisa tra Caso e Necessità, ontologicamente evocata come un'essenza più profonda della semplice apparenza sensibile: i microcosmi dell'io e i macrocosmi siderali esigono la multiformità che si attaglia ai momenti di veglia e agli stati onirici con velature surreali e indicazioni concretissime ("il tormento dell'illimite/ha succhiato per sempre la promessa di foreste/e il verde che doveva raccogliere la sua stanchezza/si è perso nell'inconsistere che ondeggia fuori/mentre quello che un giorno era il suo corpo/è diventato coagulo di spinte in guerra", Il sogno di Anna).
Con Iperpoema si riabilita il desiderio di una riconciliazione con il cosmo ("voglio ancora dire le stelle", Frammento XXX), si riacquista la dimensione creaturale che riavvicina il Sé alle fibre dell'universo, senza che ciò prenda il gusto muffito di uno spiritualismo obsoleto, né la disposizione donchisciottesca a voler travalicare a tutti i costi l'orizzonte sensibile, piuttosto si manifesta una passione metafisica che non esclude la carnalità, limitandosi a indicare come si possa essere accanto alle cose e dentro la natura, non solo contro di esse ("il battito solo un poco visibile/ci stringe attorno all'asse", Sesta Ipotesi). Iperpoema confina a suo modo con la Gaia Scienza di Nietzsche per la medesima arte di modellare il mondo secondo le pulsioni vitali autentiche dell'individuo, per la stessa provocazione dell'ordine normativo attraverso l'immaginazione ("e rivendico fragilità di donna/di uomo destinati allo scandalo", Frammento V).
In senso retorico il macchinario testuale ordito da Maria Teresa Ciammaruconi tende alla massima evidenza realistica e al contempo alla deformazione come contrapposizione alla uniforme piattezza imperante; più consapevole si dimostra un simile progetto, più ferma diviene la volontà di sperimentare codici e linguaggi dissimili. Si assiste a una feconda contaminazione di registri, dall'arcaicità mitica al barocco felice, all'espressionismo gioioso e straziato: pluritestualità volutamente irrisolta, sottesa a una trama fonetica che esplode in accensioni verbali improvvise per dare esca ai tamburi eschilei che reclamano un esito diverso per la vicenda terrena e materiale ("lo sa solo lei del sangue versato e dei ritorni/poveri più della partenza sa la tristezza dell'infedele che per sempre la tiene con sé", Il sogno di Teresa).
Tagliente come il rasoio di Ockam, duttile come l'impasto Sanguineti-Savinio, la lingua di Iperpoema si fa raziocinante, saggistica, viscerale, ora rastremata, ora elaborata, a tratti straniante, a tratti perfettamente aderente agli oggetti nominati, così da lasciare nella mente echi, tracce, sinopie di una realtà outre nella quale si vorrebbe disperatamente abitare. Seppure in alcuni momenti le asperità concettuali soffochino la potenza del canto, Iperpoema è un tentativo stimolante di superare le secche della poesia epigonica odierna: l'inchiostro della sua scrittura può apparire nient'altro che una pozzanghera al lettore distratto, ma anche così rimane una sfida riuscita alla vita, al mondo, alla bellezza.

Donato Di Stasi