Recensione di Pierpaolo Lupo a Belinda Victoria, i primi difficili anni di Daniela Bigottà

Al cospetto del dilagare , nella letteratura di largo consumo, di tante saghe costruite attorno ad universi di pura fantasia , ci si sentirebbe tentati di ascrivere , o di ingabbiare, anche il libro della Bigottà in quell'ambito così vago, ma al tempo stesso così limitativo (proprio perché lì tutto è possibile!) , che è quello del genere "fantasy"o della letteratura per bambini. Eppure leggendo le sue pagine ci si accorge che forse c'è qualcosa di più, che fra dialoghi spiritosi e bizzarri accadimenti che si susseguono con la grazia di un' avventura disneyana , l'autrice non perde mai di vista il rigore proprio di chi non vuole soltanto "raccontare" , bensì di chi vuole "fare letteratura".
Fra animali parlanti, buffi personaggi, talismani e diafane fate evanescenti proviamo inizialmente il disagio o la diffidenza di chi pensa di doversi immergere in un universo nuovo, ma poi ci accorgiamo poco per volta che quell'universo ci è familiare , che va a solleticare e a risvegliare una memoria culturale collettiva, atavica , dove la componente fantastica si sovrappone al realismo di un'ambientazione comunale- borghese.
In questo è la dimensione "letteraria" del libro della Bigottà che prosegue idealmente quella tradizione tipicamente italiana (nata coi novellieri del '500) e diventata poi mitteleuropea, di impreziosire con una veste colta e di rigore stilistico il confuso coacervo di temi e moduli propri della narrativa fiabesca e popolare. Non soltanto i temi trattati (quello della bambina che cresce in una famiglia non sua è tipico della fiaba popolare) ma anche il tempo storico della narrazione , collocabile in un passato più o meno remoto (quello dei nostri nonni o bisnonni) e la collocazione geografica (che dai nomi ai colori al paesaggio riconduce a certi paesi dell'Est europeo) contribuiscono a conferire una ricercata e consapevole architettura stilistica all'opera.

Pierpaolo Lupo