Le grazie Brune

di Velio Carratoni

Recensione di Domenico Cara

Una delle iniziali preoccupazioni di Velio Carratoni, pensando di scrivere un romanzo ad eros libertario,sarà stata la necessità di sfuggire dalla serie di possibili equivalenti sparsi e spersi nell'abituale metafisica della sessualità (a gettito comodo), bavosa, mentalmente esperta,e degradazione turgida di un io abissale e perverso.Il coraggio intellettuale ed emotivo non è stato poco,così come una difficile elusione dai canoni dettati da un D'Annunzio, per esempio, e poi Henry Miller, Georges Bataille,Erica Jong, per fare dei nomi novecenteschi.
La flotta di suggestioni radicali potrebbe aver spinto questo scrittore all'azzardo, ascoltando le voci multiboccaccesche e sadiane, post-sadiane, di tentativi a sublimazione naturalistica, pullulanti nella letteratura d'ogni luogo, e nel sottobosco che recupera spesso stilemi vivaci, sapori residui, muffe sepolcrali, in apparenza inconsumabili,di tanti dettati edonistici, irregolari, caleidoscopici,senz'altro ripresi da autori nel nostro tempo, tutt'altro che incerti o inevidenti e illetti.
Velio Carratoni mi sembra sia uscito indenne dalle possibili tentazioni a imitabilità sicura, su orizzonti dimezzati delle oscenità costruendo un romanzo a visualità socio-filosofica, adottando invece puri incontri di passione a modelli franti di edonismo individuale,sentenzioso,abile, per difendere intanto la sua polemica sul corpo erotico,e superando non poche complessità per integrare una rettifica alle combinazioni assecondate dalla fonte, comunque assai datata, della navigazione nell'effimero, sottolineata peraltro dalle curiosità nella vita.
In più squarci il protagonista (Manio Moresi) diventa il deus ex-machina del movimento narrativo;le azioni (soavi e deliranti) inseguono aree e vampe pretestuali secondo cui l'autore-guida diviene il mentore e il saggio dell'evoluzione raccontata.In zone di equilibrio (libertino) il corpo è un incantamento e un obiettivo di felicità umana,mortale,ma anche l'area su cui la voluttà pronuncia la gioia del suo dramma privato,la vibrazione istintuale commentata per colloqui,desideri intrisi di solitudine, di circostanze in frantumazione della realtà(comunque in cerca del suo nulla). La carne,non più esiliata in un rapporto sdrucciolo e grottesco,dove il vizio è pervaso della propria avidità,occupa l'universo del suoi clamori fisici, produce un ricambio di idolatria e di estasi che risveglia la razionalità dell'essere, riscopre pur sempre più attentamente una misura della verità naturale, non torpida,inerte,inerme o senza contrasti.L'opera ha quindi un suo uso dialettico, non soltanto per la melodia,il misto dolore,gli altri turbamenti esistenziali, le idee della trasgressione o della fissa elezione corporale, bensì la metafora de "Le grazie brune" in cospetto libidinoso e soffice di un idillico volto di neve confuso nella sazietà.
Nel panorama delle presenze e del fatti(romani e mondani) si leggono inoltre maniere di rievocazione e di attualità del negativo, che traducono la solerzia disquisitiva del romanzo in uno sguardo generale di eventi,allucinazioni, commotività moralistiche,delle cui sostanze il romanzo vive un credito particolare.Così, la letania (erotica), per dirla con Emilio Villa, supera le innumerevoli défaillaces di una seduzione risaputa e nemica, per porgere, pagina dopo pagina, un itinerario tutelare alla riflessione, a cui mai Carratoni si sottrae, e un' ossatura raccontata che rintraccia un recupero di confessioni segrete e incandescenti.
E'là che la scrittura ritrova le differenze tra se stessa il consumo delle ovvietà e la lezione dei padri, e con esse fonda una speranza alla continuità di meglio frequentare (e amare) l'oggetto del desiderio connettendo la realtà al gioco della letteratura.

Domenico Cara