Vendette d'Amore

di Velio Carratoni

Recensione di Marco Alessandri

dalla rivista Fermenti

Attraverso una lettura attenta della raccolta di aforismi "Vendette d'Amore", in grado di individuare i cardini fondamentali su cui ruotano le diverse riflessioni, non si può non giungere ad una constatazione inevitabile: l'autore, Velio Carratoni, pone, sì, il sentimento amoroso al centro del discorso, ma non come fine cui tende la ricerca morale, piuttosto come punto di partenza da cui si dipanano i fili di un'indagine complessiva che affonda il suo scandaglio negli abissi, più o meno oscuri, del nostro difficile rapporto con l'altro.
E quando ad entrare in gioco è la 'convivenza', parola forte nel suo valore etimologico (lat. 'convivo': vivere insieme) seppur inflazionata da troppi e inopportuni significati aggiuntivi, vengono messi immancabilmente in discussione i principi del nostro vivere quotidiano ed i valori che ad esso sono sottesi: dal sacro al profano, dalla fedeltà al tradimento, dall'amicizia al sesso, fino a toccare le più alte realtà spirituali: le illusioni, l'arte, la poesia, finanche il senso stesso della vita.
Perciò oserei dire che questi di Carratoni più che aforismi, cioè brevi massime definitorie (dal greco 'aphorismòs' = definizione), appaiono come veri e propri epifone-mi, cioè frasi sentenziose con le quali viene concluso un discorso (dal greco 'epiphonèma' = voce aggiunta), perché davvero tali pensieri sembrano in qualche modo punte di un iceberg che cela la sua massa ingente nel mare del vissuto, cristallizzando poi in superficie nel sarcastico gelo della razionalità.
Ma siamo ben lontani da un medicale aforisma ippocratico, in grado di curare l'endemica labilità delle nostre passioni, in quanto Carratoni nel suo acuto 'regimen sani-tatis' ci offre piuttosto valide prescrizioni di medicina preventiva che rafforzano le difese del nostro spirito nei confronti delle illusioni e dell'ipocrisia del senso comune.
Quanta amarezza e quanto sofferto cinismo si nascondono in frasi come queste:

«L'amore non è mai disinteressato. È un vicolo cielo in cui impera la peggiore delle dittature possibili. Tortura, disprezzo, rancore sono i suoi strascichi, dopo tanto piacere, dolcezza senza fine. L'amicizia ha regole più autentiche dei vincoli contrattuali».
«Non c'è amore, se non c'è poi rinfaccio. Di tutto ciò che è stato donato. Per amore non si dona, si riceve. Sempre di più».
«L'amore che non prevede un importo, non è amore. Costa l'amore per Db, per il partito, per la cellula, per la setta, per l'associazione. Per la coppia non c'è tariffa fissa. Anzi tutto sembra donato. Per questo tutto costa di più».

dove risuonano evidenti, più che le sublimi freddure di Oscar Wilde, le razionali ed ica- stiche sentenze di La Rochefoucauld:

«Se si giudica l'amore dalla maggior parte dei suoi effetti, assomiglia più all'odio che all'amicizia». (Maximes, 72)
«Accade per il vero amore come per l'apparizione dei fantasmi: tutti ne parlano, ma pochi li hanno visti» (Max. 76)

e le pessimistiche elucubrazioni di Leopardi:

«...Cole donne e cogli uomini riesce sempre a nulla, o certo è malissimo fortunato, chi gli ama d'amore non finto e non tiepido, e chi antepone gli interessi loro ai propri. E il mondo è, come le donne, di chi lo seduce, gode di lui, e lo calpesta» (Pensieri, LXXV).

Tuttavia, per rimanere agli autori citati, diviene interessante notare le variazioni, pur con gli innegabili punti di contatto, su di uno stesso tema: il rapporto amore-amicizia; così La Rochefoucauld:

«La maggior parte delle donne è poco incline all'amicizia perché essa è insipida dopo che si è assaporato l'amore» (Max,440)

così Wilde:

«Non vi può essere amicizia fra l'uomo e la donna. Vi può essere la passione, l'ostilità, l'adorazione, l'amore, ma non l'amicizia». (Aforismi)

così, infine, Carratoni:

«Niente sesso, viva l'amicizia, dichiara l'impotente o chi non sente il partner di turno. Per la Chiesa nozze nulle. Per lo Stato idem. In amore non c'è amicizia, ma solo donne, soprattutto nelle pratiche fisiche».

Ma al di là di certo femminismo roboante e vuoto che Carratoni spesso stigmatizza e crocifigge non meno della pungente ironia wildiana

«Donne sesso forte, per le nuove osservatrici del costume. Forti nelle baldanze rinvendicative; deboli per scopi di utile vittimismo».

e

«Tra la femminista e la femmina la distanza è abissale».

da affiancare ancora a Wilde

«La storia della donna è la storia della peggiore tirannia che il mondo abbia mai conosciuto: la tirannia del debole sul forte, ed è la sola tirannia che duri». (Aforismi)

itorna nel nostro autore una sicura delicatezza di tocco quando supera i predecessori nel sottolineare la moderna valenza del dialogo e della comprensione reciproca, da leggere in singolare contrappunto con le espressioni altrettanto efficaci del Principe di Marcillac:

«Tra amanti non ci si annoia mai a stare insieme perché si parla sempre di se stessi». (Max. 312)
«In amore non vincono la forza e la dolcezza, ma la costanza e l'ostinatezza». (Carratoni)
«Ci sono due tipi di costanza in amore: una deriva dal fatto che troviamo continuamente nella persona amata nuovi argomenti d'amore, l'altra dal fatto che ci si fa un onore ad essere costanti.» (Max. 176).

Carratoni non è un precettore né un distaccato, quanto improbabile, fustigatore di costumi, ma un attento osservatore che serenamente accoglie come validi suggerimenti le sue esperienze di vita e ce le offre nella loro più immediata nudità:

«L'amore si fa vivo, solo quando si decide di non farne a meno».
«L'amore capita per caso. Più si desidera, più si allontana».

Nonostante la mordacità di alcune frasi che ancora scuotono il nostro mondo pervaso da contraddittorie) perbenismo, esse rivelano la loro matrice veramente provoca toria, riassorbita e sublimata da una superiore saggezza:

«La trasgressione infrange l'ordine naturale. Per questo lascia tutto in sospeso. Fin quando toma alle origini della normalità prestabilita».

quella saggezza che non teme di sentenziare contro la retorica subdola ed insidiosa

«Dall'enfasi delle parole si argomenta la povertà dei contenuti».

privilegiando comunque la poesia del crudo realismo contro la "noia e disgusto" delle "moine ruffianesche", tanto amate da certi critici che

«...non si limitano a presentare un autore. Ne decretano, per preferenze personali, la sua condanna a morte o il suo osannamento, per ragioni che non hanno nulla a che vedere con la critica».

come insegnava, tempo fa, già Jean de La Bruyère

«...è più facile ad un libro mediocre di acquistar grido per virtù di una riputazione già ottenuta dall'autore, che ad un autore di venire in riputazione per mezzo di un libro eccellente». (Massime)

Ma Carratoni sa anche condurci con discrezione lungo un cammino più arduo che ci induce a riflessioni profonde, distaccandoci dai meandri del quotidiano, senza tuttavia disperderci in metafisici universi:

«I paradisi della terra sono più vibranti. Possono anche dannarci, ma almeno li esploriamo, sia pure illusoriamente, senza bisogno di alcuna attesa».

salvandoci dall'inganno del falso che "sembra più vero e più bello di ciò che è vero" e proteggendoci da facili promesse di felicità

«Non c'è sereno se non dopo una tempesta da fare orrore».

Virile tristezza, ma nulla che lasci presagire una passiva rassegnazione od uno sterile abbandono all'auto-compatimento:

« La vita che trascorre è simile ad una carta da gioco che passa in mille mani. Più viene maneggiata più si sgualcisce, acquistando però consapevolezza che l'amore conta più dell'orgasmo».

Qui Carratoni riesce a conciliare in modo originale e stilisticamente accorto un linguaggio decisamente realistico ad espressioni metaforiche che sanno di alta poesia, come nella migliore tradizione leopardiana; e quale inconsapevole dialogo si instaura, a distanza di anni, tra il nostro autore e il grande poeta di Recanati il quale così si esprimeva nei suoi "Pensieri"

«II più certo modo di celare agli altri i confini del proprio sapere, è di non oltrepassarli». (Pensieri, LXXXVI)

concetto che non casualmente apre la raccolta di aforismi "Vendette d'Amore"

«Chi dice di sapere tanto, ammette la propria insipienza, pur generando tanta attenzione su di sé e tanta sorpresa».

Non una, ma diverse ed accorte letture potranno, quindi, consentirci di cogliere il filo coerente che lega i pensieri riuniti in questo interessante libello, utile a risvegliare in noi il piacere della riflessione e dell'ironia, vero ed unico rimedio contro l'imperversante rischio dell'appiattimento; e...

«Haec bene si serves, tu longo tempore vives».
('Regimen Sanitatis Salernitanum', I)

Marco Alessandri