Numero speciale della rivista Fermenti dedicato a Dario Bellezza

Indice del volume n. 212

 

Nel cerchio della modernità, Gualtiero De Santi

Se non avesse scritto, Dario, non avrebbe fatto quella fine?

Renzo Paris

Una scaglia impazzita del '68,

Renzo Paris

Sempre in colluttazione con il mondo e con se stesso, Mario Luzi

Una scrittura innocente e corrotta, Michele Dell'Aquila

La seconda fase poetica di Dario Bellezza, Emanuele Trevi

La poesia come atto d'amore, Maurizio Cucchi

Versi spudorati, Giorgio Manacorda

Come è triste vivere senza pettegolezzi, Giuliana Gamba

Il cerchio del tempo, Massimiliano Cecati

Un uomo dell'amore, Anna Maria Ortese

L'amore felice, Anna Maria Ortese

Ho sempre pensato che fosse un poeta, Alain Elkann

Il filo rosso, Simone Galeazzi

O Dario com'è difficile, Elsa De Giorgi

La luna specchia nel mare il suo silenzio, Renato Giordano

Sono momentaneamente assente, Luce D'Eramo

Il male magro, Manuel Cohen

Con molto amore, Giuseppe Conte

Poeta puro, poeta nato, Plinio Perilli

Una sorta di tenerezza gelosa e schiva, Maria Jatosti

La Roma-Roma attraversata con poesia, Angelo Quattrocchi

Di prossima luce, Enrico Panunzio

La voce nel buio, Elio Pecora

Quando la poesia prese fuoco, Elisabetta Granzotto

Gli occhiali nuovi di Dario, Franco Cuomo

Il telefono, Gloria Bellezza

Mitezza e trasgressione, Gianna Sallustio

Amici d'oltre orizzonte, Daniele Bollea

Al di là dell'apparenza, Gemma Forti

Grazie Dario, Gianni D'Elia

Lode al demone della poesia, Marina Della Bella

Una peonia per Dario, Marianna Bucchich

Dolore compagno, Fiammetta Jori

Lontano da qui il bosco s'infittisce, Màrcia Theóphilo

I buoni consigli, Adele Cambria

La sua poesia resta viva, Valerio Magrelli

Dario ovvero l'imprevisto personificato, Riccardo Peloso

 

Turbamento: su il sipario, Federico Sangirardi di Wardal

Bellezza per bellezza, Mimma Pisani

Paradiso, purgatorio, inferno, Vittorio Sgarbi

Non sempre un poeta è egocentrico, Reinhold Jaretzky

La busta gialla, Enzo Siciliano

Era molto curioso, Carmen Llera Moravia

La giovinezza vissuta in una stessa fiammata, Agostino Raff

L'avversario recondito, Andrea Ciarlo

Prima di essere un personaggio eri un poeta, Jean-Philippe Bergamo

È morto un poeta, Marco Alessandri

Il teatro di Caino, Donato Di Stasi

Ritmi e cadenze solo sue, Andrea Zanzotto

Un vero poeta, non un personaggio, Maria Luisa Spaziani

Dario Bellezza o della conflittualità, Velio Carratoni

Una creatura innocente, Alberto Bevilacqua

Un elisabettiano a Roma, Giacinto Spagnoletti

Piccoli, grandi fuochi, a cura di Fiammetta Jori, Sara Italiani, Marco Dorner

I suoi versi: farfalle immortali, Cesare Lanza

La poesia è il gesto sociale di un uomo in solitudine, Gina Logorio

La malattia della poesia e della vita, Giuliana Morandini

Un amico nella distanza, Eduardo Garzanti

Un'amicizia fatta di silenzio, Ippolita Avalli

Il più parigino degli italiani, Guillaume Chpaltine

Appunti sparsi e scarmigliati, Antonio Veneziani

Siamo tutti bisessuali, Noa Bonetti

Perché Dio non mi ama?, Susanna Schimperna

La solitudine è dentro, Maurizio Gregorini


DARIO BELLEZZA Testi inediti e rari

Dialogo fra un attore e un poeta innamorato

Il lungo sonno

La vita idiota

Manualetto del vizio

Tavor (1968)

Io e l'Aids

Appunti per un romanzaccio: (1966)

Quattro poesie

Una scrittura innocente e corrotta

di Michele Dell'Aquila

La irregolarità scandalosa e dolorosa è stata costantemente il segno di molta arte, di molta poesia. Non il segno genetico-connotativo, ma quello distintivo di una particolare categoria. Si può essere, infatti grandi artisti, scrittori, poeti nella olimpica sfera della regolarità e dell'accettazione: Goethe dominò il suo tempo come dall'alto di un soglio d'autorevole serenità, almeno apparente; così Manzoni, tormentato in segreto, ma autorevole e olimpico nel governo dell'autorità letteraria.
Talora gli olimpici possono perfino atteggiarsi ad inquieti, mantenendo peraltro il governo del tempo e della fama: Petrarca, amico di principi e letterati insegna. L'inquietudine di Orazio e di Ariosto, le impazienze im­provvise, le fughe dalla corte e dalla città, risultavano dissimulate da una accettabile regolarità dell'arte e della vita e soprattutto dalla sottomissio­ne, quando occorreva, ai riti del mondo, del mondo che conta.
Ciò non toglie che gl'irregolari siano una legione, da Cecco che avrebbe bruciato lo mondo e con esso papa padre e madre per spremervi un quat­trino da giocarsi ai dadi, a Rabelais, ai maudits di ogni secolo e terra, a Villon, Byron, Wilde, al nostro Campana. Lo stesso Dante tormentato e ramingo fu sentito dai contemporanei, specie dal popolino, come un irre­golare (e forse lo era), uno che avesse a che fare con l'aldilà e uscisse allor allora dall'Inferno, con quel viso adusto e la cappa brunorossiccia che non si toglieva mai di dosso. Le stranezze di D'Annunzio non possono definirsi irregolarità, ma ostentazione, in qualche caso ben calcolata.
Bellezza, con la sua scrittura innocente e corrotta, è compagno nel nostro tempo di Penna, di Pasolini che ne comprese l'ingegno e scrisse di lui che «l'eccesso ostentato di coscienza rivela da una parte in Bellezza l'or­rore conformista per la propria presunta colpa (per cui egli è il primo piccoloborghese che giudica se stesso), dall'altra scopre in lui una capacità d'illudersi che stringe il cuore».
Le sequenze dolorose della sua morte recente, dell'agonia, quello spegnersi quieto, rassegnato, come senza sofferenza, in realtà oltre il limite fisico ed intcriore della sofferenza, hanno gettato un velo di compassione, per cui gli scritti di chi lo ricorda assumono il tono di epicedi sommessi, quasi di discorsi funebri.
Invece credo vada ricordato proprio per le sue irregolarità, l'impeto innocente e scandaloso del verso, la capacità di provocazione e l'accensio­ne verbale, quel mix di ludico, di tragico e di farsesco che si ritrova sulla pagina, per il bisogno di luce, di cieli limpidi e freschi che slarga le strofe, per certe sue dichiarazioni provocatorie («Considerata la media degli scrittori che lo circondano, si ritiene uno dei massimi» — diceva di sé; ed ama­va ricordare che le sue Lettere da Sodoma sono «il primo libro in presa diretta sull'omosessualità che sia stato scritto in Italia: erano ancora da venire i Busi e i Tondelli»).
Sentiva stretto per sé il letterario italico orto; cercava collegamenti e riferimenti europei, per le tematiche e lo stile di vita. Credo che quella sua ansia di vita e di libertà, quella capacità di patimento, quella disposizione lucida e ferma, solo in apparenza rassegnata, a pagare il prezzo della di­versità trovassero spazi più adatti nella poesia rispetto alla prosa: penso a Invettive e licenze, a Morte segreta; ed anche alle sue ultime cose, liriche e poemetti in cui quella sua irregolarità era indossata come un abito di lu­ce e come la tunica d'un eretico condotto al rogo.
Ma anche nella narrativa (L'innocenza, le citate Lettere da Sodoma, Il carnefice, Angelo), e negli interventi critici si ritrova in ogni grumo di parole la stessa inquietudine, il medesimo coraggio, quell'implacata «estasi del quotidiano» di chi si sente «ospite di un corpo» sospinto verso il nul­la, come è detto nel risvolto di copertina del suo Proclama sul fascino, ultima sua opera uscita dopo la morte, ed ancora c'intrattiene con lui.

 

 

 

 

Foto di Giovanni De Maria

Una creatura innocente

di Alberto Bevilacqua

Proprio in questi giorni ho scritto dell'ultima raccolta poetica di Dario Bellezza, con il profondo affetto e la stima che mi hanno legato all'a­mico perduto. Proclama sul fascino, ne sfoglio, con rimpianto, le pagine; è il testamento di un poeta vero, il Dario amico da sempre, la cui fine si identifica nell'esordio della poesia dedicata a Marilyn, forse sotto la sug­gestione dell'analogia tematica di un testo pasoliniano: « ...Marilina se ne andò all'alba-uscì dalla favola stupida che fu la sua vita».
Bellezza è morto di Aids, e lo stile della sua morte, tradotto in una nobiltà serena e distaccata, è un'altra conferma della sua dignità lettera­ria. La tenerezza non è affatto un sentimento debole, guai a chi crede il contrario, e Bellezza è stato l'interprete lirico per eccellenza di una tene­rezza trascinata, ma conservata, nei labirinti della vita più oscuri, se non maledetti. Non un poeta maledetto, badate bene, ma all'opposto una creatura che si è nutrita, nei versi, di un'innocenza tanto più rara in quanto doveva continuamente specchiarsi in multiformi orrori.
Non udrò più la sua voce al telefono, così disponibile alla sincera co­municazione, perciò quanto mi ferisce il passo di un'altra poesia: «Finì l'epoca / del vecchio telefono / che rimanderà l'addio finale / non potrò leggere il mio / necrologio, virtù di esperti / critici per farmi piccolo». E fa male anche l'amarezza che fu propria di Dario, ed essa suoni come uno schiaffo verso certi nozionisti della recensione (non della critica) d'oggi, schedatori metallici che non seppero apprezzare a dovere il canto di Bel­lezza. Verrà il tempo in cui molti conti saranno rifatti. No, caro Dario, con amore ti smentisco in questi versi: «E il nulla ti sarà / compagno fedelissimo e insaziato». Un vero poeta, se è esistito, non sarà mai il nulla.

 

 

Foto di Guglielmina Otter