Numero speciale della rivista Fermenti dedicato a Pier Paolo Pasolini

testi tratti da Fermenti n. 1/2, Gennaio/Febbraio 1976

Interventi di:

Dannazione cosciente

di Velio Carratoni

Copertina del numero di Fermenti dedicato a Pier Paolo Pasolini

Copertina della rivista Fermenti

Le notizie clamorose non sempre favoriscono discussioni o interventi obiettivi; presi dall'emozione o trascinati dall'influenza di parte si esprimono concetti netti spesso gonfiati. Tutta la stampa, compresa la televisione, hanno parlato di Pasolini e della sua tragica uccisione. Moravia, ai funerali a piazza Campo de' Fiori, a Roma, lo ha ricordato con tono celebrativo come a lui sarebbe dispiaciuto. Pasolini odiava qualsiasi ufficialità esteriore, infrangeva lo schema tramite un modo di vita diverso non tanto per la stranezza del comportamento, quanto per la provocazione che doveva seguire a ogni suo gesto o azione. Voleva scandalizzare perché appesantito da un bagaglio ideologico non ben accetto alla società. La combatteva, pur vivendoci in mezzo, reputandola ipocrita, specchio riflesso di un potere costituito che incoraggiava la delinquenza ad ogni livello. Si rassegnava alla sua dannazione non con acquiescenza, ma con rabbia, cercando di sentirsi al centro di ogni situazione.
Pur di liberarsi dal fardello delle istituzioni ipocrite preferiva suscitare sdegno e indignazione negli altri, ma prima ancora rimaneva « scandalizzato » in senso giudaico-cattolico. Frequentava i ragazzi di vita non per corromperli, ma per farsi accettare. Qualche pseudo moralista può a questo punto asserire: « Amava mercificarli ». Non era lui a prostituirli, ma la società in cui tutto è prostituito. La sua ironia lucida e sprezzante gli faceva accogliere anche questo non per proporre, ma per confermare, prendendo atto di una situazione che non certo lui poteva modificare. L'omosessuale in Italia è visto con sospetto, con ilarità; è odiato; per essere sopportato deve pagare alla stessa maniera di come il cliente retribuisce la compagna occasionale o la mantenuta.
La società non giustifica il rapporto autentico tra l'omosessuale e il suo accompagnatore sia esso fisso o causale. E' questo il motivo per cui in un ghetto isolato fiorisce la prostituzione maschile per uomini facoltosi. Chi sono i prostituti? Ragazzi, militari, studenti, non solo di borgata, in cerca di carta monetaria che il lavoro (o lo stato permanente per i militari o studenti) non sempre fa realizzare, così si va con il personaggio che paga « prestazioni » che la società non riconosce. E con le prostitute non avviene lo stesso? Il procedimento è il medesimo; differiscono solo la condizione e l'ovvietà di un simile mestiere. La donna, sia pure con il nuovo diritto di famiglia, in molti casi non è ritenuta uguale, ma inferiore. Prova sia che, pur praticando atti che la società si sforza a non reputare innominabili (alla stessa maniera del prostituto uomo) ricerca un corrispettivo che la morale borghese non potrebbe non far applicare. Diversamente ella farebbe la figura della sfruttata.
Per la morale corrente Pasolini avrebbe fatto meglio a mantenere relazioni fisse con ragazzi rispettabili e compiacenti o a frequentare comode stanze di garconnieres piuttosto che ricercare giovani casuali e luoghi triviali. Fa scandalizzare di meno il rispetto delle apparenze. Un contatto in sacrestia (praticato reconditamente) o in una profumata camera da letto è meno disonorevole di un approccio dietro ad un albero nei pressi di qualche latrina pubblica. Il far di nascosto del marito, della moglie, della famiglia, degli amici o degli uomini della strada ha favorito pratiche degradanti, le quali, in quanto proibitive, sono anche salite di prezzo.
A Pasolini, la lucidità lo aveva indotto, a non farsi illusioni. In tal modo, in senso pragmatico, desiderava una vita diversa, pur non ammettendolo. La sua denuncia partiva di qui; era però una voce nel deserto o che induceva troppi ben pensanti a stracciarsi le vesti per quello che aveva detto. Un certo F. M., nel numero del 29 settembre '75 della « Discussione » settimanale politico-culturale della DC, in risposta alla proposta di Pasolini di processare gli uomini di regime della democrazia cristiana, affermava tra l'altro: « ... processo alla DC uguale processo all'Italia uguale processo all'Europa. Dirlo può essere divertente e anche intellettualmente stimolante. Farlo implica un prezzo che non risparmierebbe certamente gli amici di Pasolini e nemmeno lo stesso Pasolini ».
L'uccisione dell'autore de « Le Ceneri di Gramsci » ha sottratto alla cultura italiana un uomo lucido che protestava in nome di una società più autentica. Fin qui siamo in campo di una retorica orazione funebre simile a quella di Moravia a Campo de' Fiori, se non si aggiunge che oggi nessuno scrittore italiano aveva parlato con uguale coraggio e con identica apertura. Nemmeno Moravia aveva attaccato gli approfittatori, gli aguzzini del regime politico con una dialettica da fustigatore, ma anche di analizzatore cosciente. Nel secolo ventesimo abbiamo avuto una cultura che si è detta laica, pur derivando dalla controriforma, si è detta libera, pur dipendendo dalle cellule partitiche nere, rosse, giallo-bianche, bianche; si è dichiarata innovatrice, avendo invece imitato francesi, tedeschi, americani, russi; si è detta marxista, ma è mancato un espositore coerente di tale ideologia, condizionata da un dogmatismo settario di derivazione parrocchiale; si è detta spregiudicata, risentendo invece di un peso bigotto e farisaico, tipico della mentalità giudaico-cattolica che ama il potere di quel consumismo che ripugnava a Pasolini, presentandoci il peccato come ai tempi del medioevo. Per tale specie di cultura per peccato si intendono le deviazioni o le tendenze che la società ci tramanda di padre in figlio in nome della salvaguardia di un regime borghese che ha infognato chiesa, scuola, famiglia, sentimento, libere unioni.

Nella foto Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Pasolini odiava tali istituzioni in quanto emblemi di un potere di comodo e di profitto.
Incominciai agli inizi (degli anni sessanta ad interessarmi di Pasolini, quando una certa stampa destraiola lo denigrava, lanciando invettive contro di lui perché era omosessuale ed aveva noie con la polizia. Così tale stampa montò a dismisura il caso Pasolini, facendolo apparire come un personaggio sporco. Con acredine tale stampa giornalmente attaccava il corruttore, l'amante di atti innominabili. Fu pertanto schedato come nevrotico, psicopatico, stercomane, ecc. o come nuovo dottor Jekyll della morale borghese senza ricordare che tutti i grandi pensatori come del resto tutti gli uomini chi più chi meno sono casi patologici, resi tali da una società che abbrutisce e disumanizza.
Quasi ogni giorno passando di fronte alla sua casa all'EUR vedevo scritte contro di lui; non c'era giornale di destra o democristiano che non lo vituperasse; anche Paese-Sera del 23 ottobre scorso, a firma di Adolfo Chiesa, aveva scritto: « in lui non solo c'è stata sublimazione, ma la rimozione per usare una terminologia psicoanalitica, è avvenuta solo in senso iterativo, repressivo... Prendiamo l'ultimo articolo che ha pubblicato sul « Corriere della Sera » del 18 u. s. Già il titolo è un programma: « Aboliamo la tv e la scuola d'obbligo ». Inutile ripetere la tesi, sono sempre le stesse: torniamo (anzi, « tornate », non credo sarebbe facile attaccargli il benessere, i privilegi che ha raggiunto... »; « niente film pornografici (soltanto i suoi, che sono belli...) ». « Cerchiamo... di afferrare le radici d'un discorso sempre più ossessivo, banale e noioso. Pasolini è troppo intelligente per non sapere che le sue tesi non hanno un fondamento sociologico rigoroso, sono ridicolmente patetiche nel contesto di un approfondito discorso politico. Possono tutt'al più, le sue tesi essere considerate dei paradossi giornalistici, talora divertenti, anche se di gusto assai dubbio (ma allora perché lo scrittore se la prende tanto con i giornalisti, il loro stile, quando certa sua prosa, certo suo stile si potrebbero confondere con quelle di un qualsiasi Zappulli?).
Quella del paradosso, comunque, può essere una ipotesi, un divertente trucco per farsi leggere, per gridare alcune verità, enunciare molte stranezze. Ciò che tuttavia appare desolante è il fatto che uno scrittore del talento di Pasolini tanto insista sul terreno del paradosso, dello state a sentire che vi dico io, «del vi lascerò tutti a bocca aperta», sempre alla ricerca di qualcosa che ci colpisca, di formule e trovate nuove per farsi leggere, suscitare scandali, polemiche, discussioni. A bene guardare, non è questa in fondo la peggiore forma di consumismo, quel consumismo che pure Pasolini dice tanto di combattere? Consumista è anche chi, come appunto Pasolini, combatte solo a parole e sempre con le stesse parole-moduli precostituiti, con formule altrettanto precostituite, portando rimpianti, emozioni, immagini strettamente personali come unici argomenti.... ». « ... Pasolini finisce per fare soltanto della cattiva letteratura... ».
Il livore di Adolfo Chiesa espresso in un giornale di sinistra lascia intendere che Pasolini per molti aspetti era scomodo anche al PCI. Eppure durante i primi anni di successo era stato difeso ad oltranza da quel partito che lui « indipendente marxista di sinistra » successivamente condannò per certe forme manifeste di dogmatismo politico, da volterriano, amante del paradosso per contrapporlo a certa prassi immutabile.
Non sempre però risultò obiettivo; la sua opposizione preconcetta all'aborto, ad esempio, era identica a quella di certi vaticanisti. Esprimeva la sua concezione, in quanto si riteneva estraneo al problema. Il suo limite può essere stato quello di aver interpretato realtà di fondo dalla sua angolazione di diverso. Ma è stato più obiettivo di certi carrieristi partitici di destra, di centro, di sinistra che lo hanno combattuto per non aver egli avallato nessuna prassi immutabile.
Armando Plebe lo ha ritenuto un marxista sterile, in quanto incapace di adottare un rigoroso discorso filosofico; ma era un poeta-ideologo nemico dei bigotti, degli speculatori, dei falsi profeti e non già un filosofo. Cosa rimarrà di lui si chiedono molti pensatori. E' difficile prevederlo. Comunque ha lasciato spazio a troppi cialtroni della cultura, privi della sua vivezza e della sua acutezza interpretativa. Dalle varie Bellonci ai Parise, ai Prisco, ai Bassani, ai Bevilacqua, ai Saviane prevale nei nostri scrittori un piattismo che sa di conformismo e di consumismo dell'informazione. I loro temi logori non hanno innovato nulla. Hanno determinato una tale stagnatura che Pasolini aveva cercato di rimuovere; si era dovuto rifugiare nel cinema per sopravvivere e per ritrovare se stesso, in quanto nel cinema si possono attuare forme espressive meno statiche o sterili. La letteratura è divenuta un feudo dell'inamovibilità. Pasolini era troppo ribelle per accettarla per quello che era; così dopo i primi tentativi felici di Ragazzi di vita e di Una vita violenta e dopo la felice produzione con cui ha innovato la poesia civile italiana è rimasto uno scrittore dell'immagine come Giacomo De Benedetti era rimasto narratore in campo critico. Si sentiva sradicato dagli accademismi formali, da una politicizzazione di potere. Alle sue prese di posizione facevano riscontro non le repliche ma le contumelie. Si sentiva pertanto non solo diverso, ma isolato e amante della distruzione. Ogni forma di distruzione parte sempre da se stessi. Vi era giunto partendo dalla dissociazione per giungere all'annientamento di sé.

Nella foto Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Rischiando ogni volta di morire, in occasione delle sue battute, sfogava non solo un certo masochismo, ma uno scherno nei confronti di una società che con il suo consumismo aveva sempre più omologato sentimenti, idee, relazioni, contatti. La sua non era una scoperta, ma una violenta presa di coscienza. Ora gli ipocriti gioiscono. I ragazzi di vita non incontreranno più un uomo infantile, desideroso di studiare le reazioni degli altri. Gli uomini di cultura vorrebbero dimostrare, nessuno escluso, di averlo sempre amato e seguito con attenzione. Forse su di lui presto cadrà un silenzio equivoco che saprà di timore di certe prese di posizione insolite.
Il caso Pasolini è divenuto a torto un fatto di cronaca che ha superato di gran lunga il significato culturale. Egli era essenzialmente un uomo di cultura, anche se odiava l'accademismo manieristico. Questo non ha capito chi io definisce un corruttore della morale corrente. Cosa rappresenta tale morale? Un'accozzaglia di ipocrisia, ove il bigottismo più farisaico viene consacrato a norma di massa. Eppure si parla di evoluzione del costume, di trasformazione o superamento della morale borghese. Solo perché si parla di più di sesso e di accoppiate e si tollera ormai certa stampa pornografica con linguaggio da latrina, che tratta la donna come strumento e l'uomo come un semplice manichino? Il consumismo ha favorito lo scialacquamento del sesso, ma, nel contempo, ha livellato l'autenticità di una ricerca libera del fattore erotico. L'amore libero nelle sue manifestazioni globali, è un archetipo, in quanto non fa comodo a nessuno. Né all'uomo che vuole rimanere il dominatore, né alla donna che teme le reazioni del maschio, evitando di ammettere le proprie esigenze sessuali. Di fronte ad una falsità de! genere era allora più ammirevole la diversità di Pasolini, che non era posa esibizionistica, ma determinazione di un modello di vita per persone coscienti. Nella sua ricerca mancava però il rapporto di autenticità; i ragazzi di vita non lo amavano, ma lo sopportavano e spesso lo dileggiavano, Così si sentiva isolato, rifugiandosi nella rabbia violenta e provocatoria.
Pasolini è stato l'unico scrittore italiano che non abbia fatto parte stabilmente di un circolo salottiero bellonciano o di banchetti conviviali tipici dei premi letterari da cui ormai si era allontanato. Odiava i mass media anche se gli editori se lo contendevano non perché il suo linguaggio fosse valutato nella sua giusta proporzione, ma in quanto capace di suscitare scandalo e quindi di incrementare il fattore di cassetta? Odiava la DC immagine della prostituzione politica, criticava il PCI, per suo certo dogmatismo; la Chiesa per la sua ambiguità; i cattolici, in quanto mistificatori; i giovani per il loro doppismo; la società per l'apparato infernale che lo avrebbe travolto; la cultura ufficiale immagine del parrucchismo piatto e sterile; la famiglia per l'ipocrisia istituzionale.
In una scena di Ultimo tango a Parigi, film d'arte, Brando mentre balla con la protagonista si toglie i pantaloni, mostrando le natiche. E' un attacco alla morale corrente secondo cui non è lecito essere se stessi per non scandalizzare gli altri. Chi dice ciò si batte il petto, ma spia dal buco della serratura o origlia per interferire nei fatti altrui.
Pasolini è morto per sorprendere, per far ricordare a qualcuno che esiste anche l'Idroscalo; esistono i ragazzi che si prostituiscono, per usufruire di un consumismo divenuto simile a evacuazioni stonate e meccaniche. E certi benpensanti obiettano: « Ma poteva andare almeno in camera d'albergo ».
A lui non piaceva la ricercatezza di contorno, anche se possedeva un castello ed abitava in un quartiere per miliardari. Ci abitava, ma non ci viveva. Quando poteva, partiva, o usciva fuori dal quartiere asettico, standardizzato, perfettamente in ordine, in cerca di una verità più sofferta.
Ciò dimostra che non era un crapulone. Pur essendosi arricchito era rimasto semplice e connaturato nel mondo dei relitti.
Culturalmente non si sentiva un professore, pur avendo tutti i requisiti per insegnare a molti di essi.
Walter Pedullà ha affermato che non erano nuovi certi discorsi o certe sue prese di posizione. Era nuovo però il modo con cui si esprimeva. Con asciuttezza, con dolcezza, con essenzialità critica. Per lui l'assioma diveniva ironia; il paradosso regola del discorso per significare la contraddittorietà dell'immobilismo concettuale. Propose di abolire la scuola d'obbligo, pensando che la vita, il mondo potessero meglio insegnare della sintassi, della geometria, della storia che vengono spiegati nozionisticamente con gli stessi metodi in vigore nella scuola media secondaria e nell'università. A scuola vengono a mala pena tollerati i testi di cultura. Per tali motivi i vari Petrocchi, Paratore ed altri sfingi del mondo baronale cercheranno di dimenticare Pasolini per avere avuto poco a che fare con la scuola del ministero della pubblica istruzione.
Egli pedagogicamente rimarrà come esponente della scuola di vita che si fonda sull'esperienza vitale partendo da testi come quelli di Dostoewski, Marx, Tolstoi, Dante, Boccaccio, Pascoli, Matteo in cui viene messa in risalto l'essenza della sofferenza umana.

PASOLINI: nemico della violenza ?

di Gino Raya

Nella foto una scena di Salò o le 120 Giornate di Sodoma

Nella foto una scena di
"Salò o le 120 Giornate di Sodoma"

« Può essere vero che un uomo nemico della violenza abbia colpito per primo »? (Ulderico Munzi, art. sulla tragica morte di Pasolini, « Corr. d. sera », 4 novembre 1975). La definizione affiora, ora più ora meno caricata, in centinaia di necrologi, sì da indurci a discutere questo solo volto del fatto e del problema. Il quale (s'intende) non sarebbe risolto se si dimostrasse chi colpì per il primo. Altra premessa, la distinzione tra il cordoglio (rispettabile e plausibile in chiunque) e la critica (che, mescolata al primo, finisce in giudizi tipo iscrizioni sepolcrali).
La violenza, per altro, è un fenomeno biologico che segue la spirale dalla fame all'aggressività; suscettibile, dunque, delle espressioni più abiette e più nobili, a seconda il livello culturale dell'agente. Caratterizzare un individuo come violento significa, semplicemente, lumeggiare una sua prevalenza fisiologica; la quale non esclude il mostro, ma neanche Dante o S. Domenico. Che dire, da tale punto di vista, di Pier Paolo Pasolini?
Che i suoi cromosomi, tra migliaia di termini che la genetica impone, avevano un ritornello costante: la violenza. I romanzi e i film (Ragazzi di vita, Una vita violenta, ecc.) sono troppo noti perché vengano qui ricordati. Ma nessuno fa parola di episodi più direttamente operativi, come quello del 29 giugno 1960 che diede luogo ad un processo per « favoreggiamento » di teppisti, concluso con assoluzione « per insufficienza di prove », oppure la rapina al benzinaro Bernardino De Santis, avvenuta l'8 novembre 1961, reato per il quale il Pasolini fu prima condannato, poi amnistiato, e infine (die. 1967) assolto per la solita « insufficienza di prove ». La cultura, l'ambizione, la platea incuriosita dalle pratiche ipocritamente tabù, critici ed enti avidi di sfruttare il fenomeno commerciale o per semplice conformismo, hanno operato l'evoluzione pasoliniana dell'ultimo decennio, la quale raggiunge bensì livelli non volgari, non perciò attua l'impossibile soppressione della sua principale componente genetica.
La cultura: cos'è dunque questa inclinazione alla violenza che mi pervade, e che perciò io vedo prevalente nel mondo? Deriva dal « consumismo », dalle strutture sociali, più dalla periferia o dai Parioli? Problematica irta di parole grosse, di prese di posizione apparentemente paradossali (come la proposta di abolire la TV e la scuola d'obbligo), ma appunto per questo rivelatrice dell'indole. La quale reagisce alla voce fisiologica con atteggiamenti radicalmente contrari, con momenti serafici (da « uomo mite, dolce e gentile », scrive persino lo smaliziato Moravia, 4 nov.). Oppure passa, dalle derisioni blasfeme della Ricotta (che gli fruttano una condanna a quattro mesi di reclusione con la condizionale: marzo 1960) e dal turpiloquio di Mamma Roma che (sett. 1962) i carabinieri del Lido di Venezia non possono non denunziare al procuratore della Repubblica, al Vangelo secondo Matteo (1964) o secondo la « Pro civitate christiana » che dir si voglia.
Il sesso. Ritiene, uno psicologo (Ferruccio Antonelli, « Il Tempo », 4 nov.) che il comportamento di Pasolini può lasciare perplessi « coloro che hanno idee approssimative o preconcette sulla omosessualità »; alla quale andrebbe addebitata « la stessa possibilità di sostituire il Tanatos con l'Eros, e cioè di usare la violenza per ottenere l'amore ». Indi richiesta, per questi « soggetti » (leggi, tra le righe, « sciagurati ») di « pietà più che di condanna ». Ch'è la linea, in forma parascientifica, d'un altro articolo della stessa pagina, dove Fausto Gianfranceschi tuona contro il relativismo, e geme perché Pier Paolo « ancora non aveva alzato lo sguardo » alle « stelle fisse ». Con buona pace delle quali, Amore e Morte non formano un'alternativa biologica, ma due facce d'un solo impulso, la cui moderazione non dipende dall'indirizzo etero o monosessuale, bensì dalla cultura del soggetto.
L'omosessualità, biologicamente parlando, non è affatto soggetta a tutti i traumi sopra immaginati. I quali derivano, invece, da una bimillenaria campagna da parte di una casta che autorizza il connubio solo per benedirlo (e quindi assoggettare i coniugi al suo potere) e, posteriormente e preferibilmente, per ottenere nuovi individui obbedienti (crescete, moltiplicatevi, e fate le crociate o altro che io vi ordino). Di qui le persecuzioni e le calunnie e (in mancanza di meglio) le condanne morali contro adulteri concubini e omosessuali. In che, dunque, ci può illuminare l'inclinazione sessuale del Pasolini? Non perché essa implica la violenza (Gide era forse un violento?), ma perché — nei momenti poco o nulla controllati dell'uomo, che si verifìcano sotto l'estro venereo — affiorava più facilmente la disposizione genetica di lui, Pasolini, alla violenza.
A parte la colluttazione della tragica notte, ascoltiamo una testimonianza preziosa sul suo « gusto de menà », raccolta da Ulderico Piernoli (« Il Tempo », Roma, 5 nov. 1975, p. 5) in bocca ad un ragazzo di vita: « Arriconteno che 'na sera a un bar qua vicino, proprio dopo er Casilino, ne ha sdraiati quattro. Lo sfottevano, volevano li sordi prima de monta sulla machina, allora lui ne ha preso uno e l'ha crocchiato. L'altri je so' zompati addosso e ha crocchiato pure loro ». La questione dei soldi, come si vede, è un pretesto per l'alterco, una valvola attraverso la quale scaricare (o cominciare a scaricare) il rigurgito aggressivo.
Un'altra espressione di questo, a livello culturale, è nell'intervista concessa a Furio Colombo nel pomeriggio di sabato 1° novembre, poche ore prima del delitto (v. « Tuttolibri », Torino, 8 nov. 1975); intervista traboccante di frasi violente (« Siamo tutti in pericolo »: titolo voluto da Pasolini; « c'è la voglia di uccidere »; « tutti sono pronti al gioco del massacro »; « l'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere »; « l'inferno sta salendo »; ecc). Frasi che (se ci è lecito sconfinare per poco nel livello culturale pasoliniano, che non è l'esplicito oggetto del presunto articolo), non ostante la loro tortuosità e approssimazione apocalittica, rivelano un barlume di maturità, in quanto il cosiddetto male non è più addebitato secondo falsarighe ideologiche o fa ziose, ma a tutti, perché tutti vogliono « avere, possedere, distruggere » (e sia pure non per colpa della « educazione », sì per legge biologica). A questo Pasolini, che a 53 anni arrivava, sia detto con indulgenza, alle soglie del famismo, si aggiunga, come contrappeso negativo, quell'abito « piagnone, ultramoralista », di cui parla Alberto Cavallari nello stesso numero di « Tuttolibri », abito che va addebitato alla sua provenienza di maestro elementare. Il maestro elementare fornito d'ingegno (o di genio che sia), può diventare Mussolini o Bargellini, Sciascia o Pasolini; ma conserva, spesso, un abito pedagogico e protettivo, i cui esiti (nobili o grotteschi che siano) dipendono dal contesto fisiologico e sociale.
Si dirà che Pasolini deplora, non esalta, il fatto che « oggi sono in molti a credere che c'è bisogno di uccidere »; mentre proprio il sottoscritto è l'autore di un libro intitolato L'arte di uccidere nel quale non si deplora per nulla l'omicidio, ma si indicano e caldeggiano i suoi sviluppi culturali. Discorso, questo, che conferma quanto poco peso abbiano le facciate e le dichiarazioni di voto, quando non si osservi ciò che ditta dentro. E osservare la vocazione di Pasolini è possibile anche durante la cena con Ninetto Davoli (« l'ultimo amico che lo ha visto in vita »: « Stampa », 3 nov.); il quale riferisce: « Eravamo al ristorante, Pasolini parlava della violenza sciocca e assurda ». Sciocca e assurda: due rotondi aggettivi che provengono dalla cultura, in parte dalla convenzionalità linguistico-sociale, e in parte ancora dalla sotterranea pretesa di operare ma non subire violenza. Violenza: il sostantivo che proviene dai DNA del corpo di Pasolini.

Perché i nostri letterati sono inerti e narcisisti ?

di Abelardo

Nella foto una scena di Salò o le 120 Giornate di Sodoma

Nella foto una scena di
"Salò o le 120 Giornate di Sodoma"

La celebrità di Pasolini dipese molto dall'amicizia che ebbe, durante gli anni dei suoi primi tentativi letterari con Moravia, a differenza del quale possedeva una preparazione più approfondita dei problemi culturali. L'autore de Gli Indifferenti è stato buon narratore in certe sue opere, ma come critico militante o studioso di argomenti socio-politico-culturali ha messo in risalto un certo dilettantismo. Le sue dichiarazioni sono derivate spesso dalla frettolosità dell'occasione di cronaca guidato più dall'intuito che da un cosciente approfondimento del tema; è stato un informatore, non un analizzatore. Pasolini partiva in fondo dagli stessi presupposti, ma i suoi interventi erano impregnati di una dialettica più forbita.
Mostrava più aggiornamento e assimilazione di testi. Moravia è stato (uso il passato prossimo, dato che negli ultimi tempi la sua ispirazione si è come di colpo inceppata) un tipico narratore; Pasolini un pensatore più vivace; un narratore mancato. Le sue prove riuscite sono le sue raccolte poetiche, gli interventi degli Scritti corsari, certa produzione cinematografica.
Con i romanzi documentò ambienti e personaggi cronachistici, essendo a lui congeniali, al punto che partendo dall'opera narrativa, sentiva l'esigenza di riprendere i temi medesimi per renderli più incisivi (si pensi ad Accattone a Mamma Roma, in cui si riscontrano più vivaci le componenti discorsive di Ragazzi di vita e di Una vita violenta). Pasolini era un narratore dell'immagine, mentre Moravia lo è stato della pagina scritta. Diede nuova dignità alla poesia civile che prima non era stata in Italia, come ha detto Moravia, di destra, ma di altro genere.

Moravia ha definito di destra persino Petrarca, oltre a Foscolo, Carducci, D'Annunzio. Petrarca fu poeta lirico che con il Canzoniere ci diede un breviario d'amore del periodo tardo medioevale; Foscolo sentì i problemi politici in chiave disperata. Jacopo Ortis si uccide, dopo che Venezia è stata venduta all'Austria. Nei Sepolcri esaltò le illusioni; nelle Odi e nelle Grazie celebrò il culto della bellezza; nei Sonetti il senso del dolore e del mistero. Dunque poeta di destra per che cosa? Moravia è solito accennare, ma difficilmente dimostrare. Carducci e D'Annunzio, più vicini a noi, possiamo definirli di destra perché furono simpatizzanti della monarchia sabauda? In letteratura il significato politico è diverso, poiché è soggetto a mutare di senso a seconda dei tempi e delle circostanze.
Quindi considerare Pasolini poeta di sinistra (è stato sempre Moravia a definirlo tale) vorrebbe dire che fu cantore di contestazione? Perché esprime significati, presi la mano da presupposti faziosi e di parte? Pasolini si definiva marxista indipendente, ma questo non vuol dire che fu un poeta di sinistra. Dopo i fatti di Valle Giulia attaccò con acrimonia gli studenti « figli di papà » in contrapposizione ai poliziotti « figli di povera gente ». Per tale sua presa di posizione non potremmo certo definirlo di destra. Né per i suoi attacchi all'aborto, a certo dogmatismo del PCI, alla delinquenza dei pariolini come dei ragazzi delle borgate. Pasolini fu poeta, proprio perché senza alcuna tessera partitica si sentì vicino agli uomini in lotta, siano stati essi comunisti socialisti o radicali. Questo fu il Pasolini più autentico per il suo antidogmatismo e per l'imparzialità di giudizio degli Scritti corsari che rimarrà la raccolta più capace di risvegliare dal letargo certe coscienze di alcuni nostri intellettuali, uomini di cultura, politici.

Sforzandosi di lanciarsi a viso aperto nella mischia attaccò di recente Moravia per il suo silenzio, per la mancanza di presa di posizione: sapeva firmare appelli, lettere, ed inviare telegrammi senza andare oltre. Compiici erano inoltre scrittori come Calvino, i cattolici, i politici. Perché Pasolini li accusava di silenzio? In quanto costoro, difficilmente in tutti questi vari anni di lotte, di proteste hanno rischiato di persona. Seduti sui loro troni
o ben accomodati in poltrone di velluto, ben retribuiti da editori d'oro non hanno preso posizione. Prenderla non significa dirsi a favore dell'aborto, del laicismo, dell'erotismo, del femminismo, ecc, occorre pure (come ha fatto Pasolini o come fa Pannella) finire in tribunale, rischiare insomma di fare una brutta fine pur di smascherare l'ipocrisia e abbattere certi miti.
Moravia (ma a questo punto si possono ricordare anche i vari La Capria, i Malerba, i Parise, gli Arbasino, i Silone, i Sanguineti, i Montale, i Sinisgalli, i Gatto, le Bellonci, i Soavi, i Nìevo, le Cerati, le Ronchey,
i Bonaviri, i Sapegno, le Ginzburg, i Soldati, i Bo, i Castellaneta, gli Eco ecc.) che contributo di lotta hanno svolto? in che modo hanno risvegliato gli animi ad una coscienza dei problemi del paese? In senso pratico hanno adottato il disimpegno. Hanno molto parlato, scritto, ma preso rare iniziative a favore di chi soffre, langue, muore, vive in ristrettezze. Da buoni narcisisti hanno rilasciato interviste, divisticamente si sono fatti fotografare in pose vanesie, hanno banchettato, partecipato a convegni sconclusionati, si sono fatti fotografare con belle figliole per dimostrare la loro vitalità, hanno corteggiato editori, si sono fatti corteggiare, si sono specchiati nominandosi e adorandosi, hanno imitato o hanno proseguito a ricalcare i moduli prestabiliti della prosa d'arte, hanno usato aggettivi per compiacere e compiacersi, da giurati di premi letterari hanno favorito gli imposti di certi editori, hanno consolidato il potere dei Garzanti, dei Mondadori, dei Rusconi, dei Bompiani, ma hanno fatto poco di nuovo o di originale a favore della letteratura.
Se sono critici hanno scritto alla stessa maniera di come durante gli anni trenta si esprimevano i Cecchi, i Borgese, i Momigliano, i Pancrazi o se sono scrittori ancora imitano Bacchelli e Tecchi o salamandrescamente come gli Arrigo Benedetti, i Davide Lajolo, i Guido Piovene, gli Arnaldo Frateili sono passati dai fogli neri a quelli rossi, senza imbarazzi. Ma i su citati autori sono rimasti essenzialmente borghesi, hanno odiato in pratica il popolo anche se in teoria hanno mostrato il contrario, schifiltosamente o raramente hanno fatto esperienze di vita, studi di ambiente. Nello scrivere si sono sentiti « sacrali » e per questo si sono romanticamente sentiti dissociati dal reale. Si sono comportati da tipici baroni di cattedra, da luminari di una scienza decadente, da banchieri sempre pronti a riscuotere e a investire. Però certi vantaggi sono andati sempre alle stesse persone. Molti politici e sindacalisti si sono scandalizzati per la giungla retributiva, in tema di stipendi, ma nessuno, compresi certi sindacati, si sono interessati di certi scrittori che pur essendo validi e pur avendo una produzione consistente, sono privi di un editore e sono ignorati, in quanto non facenti parte di certe cricche che contano.
Pasolini faceva parte anch'egli di certe cricche; i vari Moravia lo avevano lanciato o difeso in varie occasioni, ma coerentemente li attaccò lo stesso. Di lui si pubblicava tutto anche le banalità. Questo avvenne in quanto da noi v'è l'usanza che scoperto un mito o ingrandito a dismisura, bisogna poi gonfiarlo, specularci sopra, spremerlo, imbastire su di esso una fama tipicamente divistica che solo i Garzanti i Mondadori possono consolidare. Per questo Pasolini fu vittima del suo ambiente da cui però inutilmente manteneva certe distanze.
 

CARMINE DI BIASE

Nella foto Pasolini durante le prove di Decameron

Nella foto Pasolini (a sinistra)
durante le prove di Decameron

La figura di Pasolini, nella sua natura antitetica, nel suo volontarismo di presenza, nella sua posizione di estrema anarchia, facente parte, nello stesso tempo, del « sistema », artefice e vittima di se stesso, delle proprie contraddizioni come delle ambiguità del mondo contemporaneo, resterà come « segno » aberrante, ma autentico nella sua sincerità, dei nostri tempi movimentati e smarriti, incapaci come siamo di autenticità.
Dopo il disperato sforzo di Vittorini, nella sua azione astratta di sommuovere le acque stagnanti della cultura italiana, e dopo la ricerca ansiosa, altrettanto disperata nelle sue forme esistenziali, di Pavese, in quest'ultimo ventennio, l'operazione umana e culturale di Pasolini, si pone, di primo piano e con forza di urto demolitore e demistificatore come sempre: ma anch'essa disperata e delusa nella sua assurda solitaria anarchia, quanto più vivo e drammatico era il suo autentico bisogno di « sincerità » e di « necessità », che lo spingeva a punte estreme, a vivere « una vita violenta ». Fino a rimanere vittima della violenza: aggressivo e « violento » lui stesso, contro il consumismo, ma divenuto, anche lui, soprattutto in questi giorni drammatici, oggetto di consumo.
Il suo rifiuto, di fronte alle mistificazioni del mondo contemporaneo, era totale e senza remissione, eppure ingenuo, persino estetizzante nei suoi modi e forme: segno delle contraddizioni della sua natura e della sua ideologia, interprete com'era, pagando di persona, del mistificatorio pluralismo del mondo e della società di oggi. Dì qui la sua azione ed operazione culturale contraddittoria e provocatoria, sotto tutti i versanti: come poeta, narratore, saggista, polemista, traduttore, cineasta, « moralista ». Una volontà di presenza, unica dopo D'Annunzio, come è stato affermato, ma più bruciante e demolitrice, con tutte le incongruenze di uno spirito oppositivo, in contraddizione con se stesso e con il reale, ma in cerca di autenticità: con una sua sofferta esigenza religiosa, che era qualcosa di più di una « fisicità esistenziale », esprimendo una sua tendenza anche mistica, dietro l'urto di forze antitetiche e nel nudismo della sua disperata fiducia di cambiare gli uomini e la società, avvertendone lo scacco, il vuoto, la regressione di valori.
Egli cercava lo « scandalo », per un richiamo di presenza, ma pronto, poi ad abiurare, in cerca del « diverso », con una sensibilità sempre attenta e pronta ai problemi del mondo contemporaneo, sentendosi, lui prima dì tutti, colpevole, in una società di violenti e di colpevoli, ove tutti restano omologati, senza fisionomia e senza responsabilità, ossia inautentici e vuoti. Contro tutti i ricatti ideologici del consumismo contemporaneo, Pasolini sì pone, « segno » e interprete delle contraddizioni del nostro tempo, come artefice e vittima insieme: un richiamo, per noi, non al « rifiuto », ma ad una maggiore autenticazione di valori, ad una vera ricerca di identità, di fronte ad una visione « riduzionista » dell'uomo, in cerca di una dimensione più ampia e vera.

WALTER MAURO

La morte di Pier Paolo Pasolini, così tragica e incredibile nella cieca violenza che l'ha provocata, prima ancora di rappresentare un lutto fra i più gravi della cultura contemporanea, non soltanto italiana, si configura con i drammatici connotati di una tragedia sociale nella quale tutti ci sentiamo coinvolti e che pochi come lo scrittore friulano hanno sentito in questi ultimi anni con maggiore intensità. Se infatti le poesie in dialetto della sua giovinezza rappresentano un momento spirituale « vergine », vale a dire non inquinato dal veleno della metropoli, come accadrà nei suoi romanzi, l'ultimo Pasolini è forse quello che resta più vivo nella mente, poiché in lui, nei suoi « Scritti Corsari » la provocazione si alterna alla passione ideologica e lo sdegno per la follia del mondo di oggi trova una sua moderazione del dolore profondo che ne sgomentava la coscienza ad ogni nuovo episodio di cronaca nera che ha finito per vivere in prima persona.

MARINO PIAZZOLLA

In un paese evoluto in cui ci fossero una cultura aperta e un costume aperti si dovrebbe ottenere dalla TV che ha trasmesso il dibattito sulla morte di Pasolini l'intero resoconto perché si possa avere la possibilità di sviluppare un'ampia e spregiudicata discussione sull'argomento stesso. In tal modo si presenterebbe l'occasione di fare intervenire tanti di quegli intellettuali che in Italia sono tagliati fuori dalla politica o dalla cultura ufficiale composta di narcisisti veri e propri che hanno svisato più o meno le ragioni della morte di Pasolini. Nessuno dei presenti al dibattito ha avuto il coraggio di denunziare che in Italia, ii tabù sessuale ha reso l'omosessualità sullo stesso piano del peccato originale senza tener conto che ben altre tare più gravi affliggono e deteriorano la nostra caotica società civile. Perciò diventa grave il fatto che Pasolini sia stato ucciso per ragioni delicatamente private e che divengono, quindi, esecragli, mentre non diventano delitti la speculazione edilizia, i ministri che rubano, lo sfruttamento degli operai, lo strapotere dei vari centri di potere politici e culturali, le varie mafie, le ipocrisie praticate da tutti gli ideologi, la violenza, l'aver messo le masse nell'impossibilità di controllare le malefatte della classe dirigente e la demagogia delle opposizioni, di accettare la ipocrisia come norma di buon costume, il farci diventare compiici di un andazzo politico-sociale-morale che sta dilagando e che ha trasformato la società in un coacervo di delitti che sono molto più gravi della pratica dell'omosessualità.
Dal dibattito non è emersa nessuna verità oggettiva e si è, invece, confuso la sacralità della cultura con l'assassinio vero e proprio. Il fatto che la morte dì Pasolini comunque sarà spiegata, analizzata, giudicata dalla Magistratura non dà il diritto a nessuno di scagliare la prima pietra sìa contro l'ucciso che contro l'uccisore. La tragicità dell'evento anziché promuovere un discorso più vasto sulle condizioni attuali dell'Italia si è disperso in bizantinismi narcisistici fuori luogo. Tranne qualche raro felice intervento, il dibattito si è svolto all'italiana e cioè in senso trombonistico opinabile e spesse volte deviante dalle ragioni più serie che costituiscono il fondamento della tragedia e del valore culturale di Pasolini. Nessuno mette in dubbio che Pasolini sia stato un uomo coraggioso, capace di sensibilizzare la critica ad una società corrotta molto di più di quanto non sia la vita, l'esistenza di un omosessuale. C'è da dire inoltre che il tempo, con l'aiuto di sempre più vaste discussioni, metterà in rilievo il valore autentico di Pasolini, scrittore, poeta, saggista e regista.
Tutto questo accade e non può essere diversamente in un paese in cui non c'è stata una lunga tradizione di cultura libertaria.
Alcuni dicono morte squallida, altri fanno vita squallida.

FRANCESCO MEI

Pasolini è stato l'artista italiano del nostro secolo che ha interpretato intensamente sia sul piano della vita vissuta che della creazione artistica la tensione fondamentale del nostro tempo, soprattutto per ciò che riguarda la realtà italiana. Cioè il confronto fra cattolicesimo e marxismo.
La sua scelta del marxismo è stata una scelta polemica e provocatoria più che ideologica, in quanto ha sentito che la giustizia sociale era la cosa più importante in questo momento.
Pasolini ha avuto una visione religiosa delia vita proprio per il suo rifiuto dell'ipocrisia, de! perbenismo e di ogni forma farisaica di rispettabilità.
Anche la sua esperienza di vita rispecchia un'esigenza cristiana per il suo volersi identificare con i poveri e con chi subisce ingiustizia.
Egli ha incarnato la massima di S. Paolo: « La nostra lotta non è con la carne e con il sangue, ma con i principi e i potenti ».
Ha riscoperto certe verità della chiesa primitiva, secondo cui non è grave la debolezza della carne in se stessa, ma l'atteggiamento dello spirito.
Non è importante che l'uomo viva nella perfezione di una morale esteriore, ma che si ponga in un atteggiamento di ricerca autentica della verità e della giustizia.
L'uomo può trovare Dio anche nel momento in cui viola una morale precostituita.
Pasolini ha riproposto una realtà essenziale che aveva affascinato Dostoewski: che la vera virtù è la carità. Ha diritto ad essa anche chi ha compiuto i delitti più atroci.
in Pasolini c'era anche una visione marxista (gramsciana) della realtà. Era una visione politica non in contrasto con un certo suo fondo mistico.
La sua poesia civile è ispirata alla immedesimazione con il popolo contro ogni retorica ufficiale.
L'elemento della sua opera narrativa è l'identificazione con il mondo delie borgate; cioè con chi viene rifiutato dalla società. Nel cinema, a parte l'interpretazione di Cristo come fustigatore dell'ipocrisia, c'è tutta una serie di films (Decameron, I racconti di Canterbury, I fiori e le mille e una notte) in cui si abbandona a una specie di gusto favoloso della vita e dell'amore visti con tenerezza e gioco.
Non si tratta di compiacimento erotico, ma di un recupero dell'esperienza amorosa in chiave di innocenza.
Anche in tal senso Pasolini ha fatto un'opera di liberazione da certe incrostazioni moralistiche.
Nella sua opera, pur ispirandosi alla ideologia marxista, ha riscoperto anche la dimensione della giustizia sociale e quella dell'amore.
Contrariamente alle apparenze anche la morte di Pasolini, comunque la si voglia interpretare, è coerente con tutta la sua vita. E' una testimonianza della difficoltà e quasi impossibilità dell'artista di esistere nella società contemporanea. Pertanto la sua fine è simile a quella di Majakowski, Garcia Lorca, Dylhan Tomas, ecc.
Chiunque cerchi di rendere più civile il proprio popolo, facendo compiere un salto di qualità oltre gli interessi costituiti, deve essere disposto ad accettare il rischio della morte. Forse nessuno ha espresso così bene tale concetto come Apollinaire quando ha scritto: « Abbiate pietà di noi che combattiamo sempre alle frontiere dell'illimitato e dell'avvenire ».