Le elegie turistiche

di Giuseppe Vigilante

INTRODUZIONE di Renzo Paris

Mi capita sempre più spesso di leggere versi piuttosto che romanzi. Ho notato che, oltre a quelli che mi arrivano con preghiera di recensione, compro più d'un volume al mese.
Ho letto così Hotel insonnia di Simio, edito da Adelphi, insieme a Cento poesie d'amore di Adonis, edito da Guanda.
Si tratta di due poeti molto diversi tra loro, ma, quando c'è la poesia, e in questi due volumi ce n'è tanta, allora la diversità non conta, non contano le differenti patrie da cui scrivono o l'attualità dei loro temi. Se penso poi che nel mese di gennaio 2003 ho anche ricevuto La pianta del pane di Biancamaria Frabotta, edito da Mondadori, e Sotto la scure silenziosa, trentasei frammenti dal "De Rerum natura" di Lucrerò, tradotti da Milo De Angelis, mi posso considerare fortunato in quanto lettore di poesia.
Le traduzioni di Milo sono fulminanti e la prima parte del libro della Frabotta, quella riguardante l'insonnia, è certo notevole. Si sarà capito che sono un lettore onnivoro. Leggo indifferentemente: romanzi, saggi, poesie, senza fossilizzarmi in una tendenza.
Leggo da quando avevo otto anni. Il primo libro fu Amleto di Shakespeare, abbandonato da mio fratello sul tavolo della cucina come fosse una cosa proibita. La lettura è stata per me un grande piacere, forse il piacere assoluto.

II

Quando il mio amico Carratoni mi sottopone un dattiloscritto per la sua casa editrice, gli chiedo di non dirmi nulla dell'autore, di lasciarmi indovinare. È come ricevere il manoscritto nella bottiglia. Scrivere versi a volte può derivare da un'attività medianica nascosta. In fondo ogni poeta non fa che evocare un mondo di immagini, spesso nemmeno sue. Ed è il poeta medium che mi intriga. E il caso di Tra le rovine di Ìa. Già nel titolo si parla di rovine, ma non dovete pensare che Giuseppe Vigilante vuole reincarnare il poeta romantico, fuori tempo massimo. Il suo è un libro di oggi perché riguarda un io che il mondo lo vede da turista, come se fosse seduto in poltrona, anche quando parla di lontananze remote.
Turisti e spettatori erano gli ultimi personaggi inventati da Gustave Flaubert, anche se volevano improvvisarsi agricoltori, leggendo libri scientifici sulle varie coltivazioni e fallendo irrimediabilmente alla prova dei fatti. In un linguaggio poetico colto, foderato di letture di classici, antichi e moderni, Vigilante, ad apertura del libro, ci racconta la mitica Santorini al tramonto.
Ci parla di feste, di danze, di danzatrici che lo colpiscono come il turista predisposto a godere di tutte le gioie naturali, comprese quelle femminili. Lascia l'isola con gli amici osservando "Anche dentro di noi dormono gli dèi. / Nulla ci disse il loro sorriso". Sono pensieri spontanei, proprio come quelli di un turista abbastanza colto, che voglia capire il suo viaggio.
L'interesse di Vigilante spazia da "II sonno dei pitagorici" a "Le campane di Exeter", dove l'attenzione dell'io girovago è pur sempre dedicata a una "bionda ragazza, / mercenaria d'un sorriso / non sperato". Incontriamo nella raccolta una poesia intitolata "Jasnaja Poljana", dove "lo sguardo del grande vecchio / sfuggì alla memoria dei fanciulli".
Lo colpiscono il sorriso delle contadine, "l'umile sorriso", rivolto a Tolstoi con "le palpebre tagliate / da lunghi inverni".
L'io del poeta è sempre in viaggio, sia in luoghi reali, sia in luoghi culturali, vivi solo nell'immaginazione di una lettura, dal cimitero irlandese allo spettacolo dei delfini, dei cavalli, dei bardi, di Ulisse, del mare. Lo sguardo di Vigilante vuole essere innocente, proprio come quello riappacificato del turista, che crede di meritare la sua vacanza dopo un anno di lavoro.
Ci sono poi poesie in cui il poeta si riterritorializza e parla di cittadine di provincia come Vitorchiano, dove "lucertole e semi dormono / nel fondo dell'estate". Allora quei cavalli, di cui dicevamo, sono quelli archeologici dell'Etruria, "Se i cavalli vanno lungo il mare, / se la rosa spunta sullo scoglio...".
Eccolo poi soffermarsi su una processione: "quando lo sguardo mi doleva / nell'acerbo meriggio d'infanzia '. Eccolo ricordare una donna che scriveva il tema di un concorso nella poesia intitolata appunto "Il concorso". "Guardavo le tue mani bianche, / guardavo il tuo scialle nero". Oppure il poeta ricorda "l'ultimo tram", che "si avventa nel suo sibilo / verso una foce di case sbarrate".
Si sarà capito a questo punto che Vigilante è un poeta elegiaco.
Il suo volume precipita nei ricordi. "La mèta" non a caso conclude questa struggente raccolta di versi.
"E quando sarai giunto al termine / della tua giornata... / ritroverai lo sguardo meravigliato / del fanciullo / che vede la luce riaffiorare / nel canale / sei già oltre la siepe...".
Detto tutto, queste "rovine" sono virtuali. Il turista poeta le lascia decantare nella memoria, le aggredisce, le svuota. Finché il mondo è popolato di simili turisti, c'è speranza, finché il poeta leggendo versi antichi se ne innamora al punto da volerne seguire la scìa.