La violenta morte di Pier Paolo Pasolini non è solo un fatto di cronaca coinvolgente un uomo conosciuto, ma si presta a considerazioni e puntualizzazioni, di cui non e molto ricca la serie degli innumerevoli interventi che ha seguito la vicenda da parte della cultura italiana da considerarsi nella totalità piuttosto " uniforme ". Mai come in questa circostanza il giudizio " appassionato e costernato " della cultura è molto lontano da quello, sicuramente non qualificato in sede critica, dei ceti proletari o mediopiccolo borghesi, forse perché l'assassinato è - reo - e nelle motivazioni stesse del delitto - di omosessualità -. Che Pasolini fosse un omosessuale non è mai stato mistero per nessuno, anche perché ampiamente " teorizzata " dallo stesso è stata sempre " la sua diversità", su " Il mondo " (11 ap. 1974) scriveva: " Si tratta, tutto sommato, di una delle tante forme di liberazione la cui analisi e la cui accettazione forma in genere l'orgoglio di un intellettuale moderno ". La morte lo consegna meglio alla sua storia intima e ai suoi prodotti artistici; non sarei riuscito a pensare un Pasolini morto di vecchiaia; la sua fine " maledetta " risalta in una cultura come quella di oggi così tranquilla e professorale.
Si parla di omosessualità a proposito di Pasolini; omosessualità che diventa bandiera di diversità, ma deve essere determinato con chiarezza il significato tra forme di omosessualità e malattia omosessuale. Nel primo caso si tratta di manifestazioni sessuali con persone del medesimo sesso da parte di soggetti con base anche eterosessuale, dove può non esistere il limite tra le due sfere, successivamente anche restringersi esclusivamente alla componente omosessuale dietro scelta personalmente vissuta. Si tratta di una scelta non motivata quindi da " blocchi " repressivo-coercitivi ma di - completa - apertura verso tutte le manifestazioni del piacere. In questi casi l'omosessualità non è malattia. Negli stessi rapporti eterosessuali spesso i partners si abbandonano a manifestazioni-slanci simulanti sodomizzazione. Molte volte " l'omosessualità " insita in un individuo rimane larvata e protetta da una " esplosione " di sentimenti moralistico-religiosi o sensi di colpa. Per Pasolini " non esiste uomo che non sia "anche" omosessuale ".
L'omosessualità diventa malattia quando è coercitiva, nel senso di una condizionata forzatura per preesistenti complessi o traumi infantili-educativi o anche per costituzionalità, quindi - scelta obbligata - anche se teorizzata con ragionamenti e spiegazioni, che ne rappresentano l'aspetto sublimante o di rimozione della malattia; come è caratteristico il loro rapporto affettivo con la madre (Pasolini addirittura la trasformava nei versi in Madonna), rapporto edipico che diventa uno dei principali moventi della malattia, " fissazione alla madre ".
Questi omosessuali vivono nell'intimità il dramma solitario della loro " diversità ", dolorosamente vissuta, anche se in tempi propizi (come quelli attuali) molte malattie soprattutto psichiche sono bandiere esibizionistiche e strereotipi lanciati come modelli di comportamento " singolare ", che esteriorizzano le manifestazioni con esibizionismo chiassoso e " provocante " (nel senso di sfida) ma che non ne risolvono i problemi soprattutto di solitudine. Pasolini scriveva " non appartenente a nessuno, libero d'una libertà che mi ha massacrato " con compiacenze narcisistiche (il narcisismo è un'altra caratteristica-movente dell'omosessualità) " Narcisismo! sola forza-consolatoria, sola salvezza! " " ... il mio blocco sessuale che mi rende un diverso ... è anche la mia privata tragedia ". In simili condizioni molti omosessuali si abituano a una determinata attività sessuale che alla fine ne diventa la loro - unica - manifestazione, non certamente meno unica dei rapporti eterosessuali solo perché " amore non procreante ".
Dove l'omosessualità è malattia, come nella paidofilia: la scelta cioè di un bambino-oggetto di piacere, comporta un carattere compulsivo nei gesti " desiderati ", come subire violenze fisiche per appagare sensi e desideri autolesionistici o contatti con escrementi; " il gesto desiderato " è determinato da " appetiti " psicologici. Nella scelta spesso condizionante del partner " adatto " è la limitazione del proprio stato.
Come attestano numerosi omosessuali in - questi - rapporti c'è più libertà e occasione " d'amore " che in quelli eterosessuali, nel senso che quando essi s'incontrano non c'è il problema delle " convenienze o corteggiamenti " per il rapporto sessuale come in quelli uomo-donna. S'incontrano, si accoppiano senza magari rivedersi, anzi preferibilmente, perché l'omosessuale è integrato in ambienti che lo ostacolano e lo condizionano psicologicamente, con la consapevolezza più o meno conscia della difficile realizzazione di un rapporto d'amore " duraturo " con persone del medesimo sesso. Per molti di essi reduci da queste esperienze fallite, c'è la lucida volontà di un puro e semplice rapporto fisico; per questo da considerarsi più " libero " di un rapporto eterosessuale per la naturale maggior frequenza di " complicazioni " sentimentali di quest'ultimo, a differenza del primo che in molti casi si risolve in una sessualità fine a se stessa. Non sono un segreto certo i luoghi d'appuntamento o d'incontro degli omosessuali alle stazioni o nei parchi di sera e così via; in questi casi, anche se discutibili da o per diverse angolature, almeno l'omosessualità è genuina.
Viceversa nell'omosessuale malato si stabilisce spesso un cliché del suo partner, lo si va in cerca per trovarlo: il ragazzino, l'efebo, il " rude " maschione o il ragazzo di vita " proletario " (come piaceva a Pasolini); chiaramente per chiunque si possono determinare delle preferenze, ma in questi casi la scelta è " vincolante ". Quando questo " oggetto " viene trovato, spesso viene comprato, sempre ben inteso che l'oggetto scelto sia " marchettabile ".
Rientriamo ora con il discorso su Pasolini, il suo assassino (secondo sempre la versione ufficiale) è un minorenne, almeno " nominalmente ", il ragazzo rimorchiato sulla sua " GT 2000 ", dal nome e dalla fama del regista (è chiaro che se Pasolini è sulla bocca di tutti non è per le sue doti poetico-narrative, né critiche, ma per quelle di regista), e anche, non lo dico con malizia, per la sua generosità tanto declamata dagli amici.
Spostiamo il discorso su Pasolini-ideologo. Il suo sicuro antidogmatismo portato fino all'audacia e la sensibilità ai problemi del mondo che cambiano, con considerazioni acute e tempestive anche nelle frequenti contraddizioni, lo facevano molte volte " tuonare " contro - tutti - senza discriminazione; in ciò non è stato forse aiutato dalla " solida " indipendenza economica che l'industria cinematografica gli elargiva (con abbondanza) e Pasolini, senza dubbio, poteva permetterselo al contrario di tanti altri intellettuali con introiti più modesti e " legati ", non, a quel sistema capitalistico-borghese su cui Pasolini, l'unico " puro " della nostra letteratura (sono parole di Vigorelli), ha in tante occasioni sputato addosso; è recente la notizia, se non erro, di una interpellanza alla camera su sue presunte evasioni fiscali. Un fortunato " proletario " come del resto, anche se non con la stessa ampiezza, i suoi amici " di periferia " lanciati dai suoi films (i Cittì, i Davoli), tutti integrati nella stessa " catena di guadagno ".
Per questo Pasolini, e le persone che dispongono dei suoi mezzi possono comprarsi i loro " oggetti "; non c'è giustificazione, anzi il contrario, se sono giovani " proletari " (autentici), quindi maggiormente esposti per la loro condizione sociale a sollecitazioni di varia natura. Non è dello stesso parere lo psicanalista Cesare Musatti sull'Espresso (6 nov. 75), né sulla forma della sua omosessualità né sulle perplessità " genuine " dei suoi " abbordaggi ": " In lui... " scrive " l'omosessualità non era né costituzionale né vizio, né men che mai mancanza di coscienza morale. Anzi era l'effetto di un'impostazione ipermoralistica. In base alla quale, il gioco dell'amore poteva essere fatto solo fra ragazzi (e Pasolini si sentiva ancora ragazzo adesso)... Non per esercitare il potere dell'uomo colto e munito di denaro sui poveri e gli sprovveduti; ma nel desiderio di essere con loro in condizioni di parità "; ignorando cosa significhi " parità " (nel senso dello psicanalista, che scomoda nelle sue divagazioni persino la " coscienza morale "), può rispondere meglio Dom Franzoni: " Pasolini viveva la violenza attrezzato di cultura e di spirito... Il ragazzo la viveva subendola. Non l'aveva scelta ".
Non mi venga un Giuseppe Cassieri qualsiasi a dirmi, come ha scritto, " ha avuto l'amaro privilegio di sconfessare giorno per giorno molte delle verità messe in circolo dall'industria del potere " (anche quella cinematografica?) " per adombrarne una, tutta sua, ispirata a un grande amore ".
Sulla sua morte si è tanto parlato e si continua, ma la sua pubblicizzazione non è forse dovuta a quelle motivazioni che lo stesso Pasolini adduceva sul tema della violenza, in un articolo (Epoca del 18 settembre 75) sul crimine dei giovani pariolini al Circeo scriveva: " I borghesi sono sempre razzisti. Ecco perché i borghesi sottolineano l'importanza del delitto dei pariolini neofascisti. In ciò si rendono compiici di tale delitto... Un analogo delitto di sottoproletari è stato passato quasi sotto silenzio... Ma questo delitto - benché ugualmente " tipico " che quello dei pariolini - non interessa tanto. Si sa che i giovani di borgata sono delinquenti... E poi è meglio tacere: perché, se si condanna, si rischia di passare per nemici del popolo, e i comunisti potrebbero offendersi ".
Perché allora si parla tanto dei particolari della sua morte e di " altro " non legato alle sue manifestazioni artistiche? Perché Pasolini era un borghese e il suo era " vile piagnisteo piccolo borghese " (come lo stesso scriveva)?
Vitaldo Conte