Eraclito docet: panta rei. Se il fiume è il luogo in cui tutto
scorre, alterandosi e rinnovandosi in un divenire incessante,
è comprensibile che in ogni epoca tanti poeti, e dei più
grandi, abbiano rappresentato in esso valori dinamici e
contrastivi, sempre connessi al senso antinomico di fugacità e
rigenerazione che ad ogni livello (da quello storico a quello
esistenziale, da quello fisico a quello filosofia)), il mutamento, per
definizione, induce.
Segno primigenio di fecondità e fierezza ma al tempo stesso
solco geografico di attraversamento, demarcazione e
ricongiungimento di natura e storia, di ambiente e civiltà;
allegoria vivente del ciclo materico di vita e di morte, figura
simbolica dell'inconscio e del suo immaginario onirico e pul-sionale,
ma contemporaneamente immagine mitica efondativa di interi cicli di
dominazione storica nel mondo di ieri e di oggi (nucleo primo di
insediamento di future loro matrici e capitali: Tigri, Eufrate,
Nilo, Tevere, Senna, Tamigi, Danubio, solo per citarne alcuni), esso
comprende in sé, in un arco di 360°, i temi capitali su cui
si interroga da sempre la letteratura nelle domande che pone, nei
problemi che apre, nelle questioni che sollecita.
Se si dovesse attivare un paradigma di confronto speculare con una
figura di segno opposto, sarebbe immediato il richiamo
all'immobilità del lago in cui Narciso vede riflessa la sua
immagine.
Se la paralisi dell'autocompiacimento porta alla morte, qui la
mobilità dell'essere altro garantisce la continuazione
della vita e dell'esperienza. Il fiume è fonte di salvezza,
nella misura in cui non concede scampo dal ripiegamento della resa.
Ad esso, all'acqua che lo compone, lo anima, al traguardo del mare che
il suo fluire desidera e prefigura nella scrittura dell'aria e della
terra, la poesia deve molto: anche quella antica, anche quella romana,
antica e moderna. Dunque, se fosse possibile, al di fuori del Tevere in
quanto tale.
Da questo punto di vista, il mito del fiume che la poesia intesse nel
tempo (o in generale o in riferimento alle singole realtà) e da
intendersi come un compenso da essa sentito e dovuto ad una delle fonti
ispirative del suo canto e della sua esistenza.
Ma, poiché il Tevere è un fiume speciale nella
verità e nella mitopoiesi della storia di Roma (e di buona parte
del mondo), la sua ricchezza semantica e rappresentativa si eleva
ad una potenza multipla.
Il punto di nascita del più grande e influente impero
dell'antichità, via via assurto a soggetto antonomastico della
sua crescita e della sua espansione, declina al "presente storico" la
pluralità dei significati e dei livelli sopra indicati e
puntualmente li catalizza e li filtra sullo sfondo dei bagliori e delle
ombre, dei pieni e dei vuoti che, oltrepassalo il guado della
classicità, le alterne vicende di decadenza e di ripresa, di
abbandono e di rinascita, proiettano sul tragitto di interi secoli di
conflittualità e di incertezza.
Anche nelle zone buie e rimosse, nei segreti proibiti e sottaciuti che
compongono la "controstoria di Roma", il fiume, con le sue acque poco
bionde e viceversa opache, melmose e persino inquinate, è
specchio fedele e sensibile della città da lui partorita.
Così lo vedono e lo sentono in prima persona gli scrittori che,
pur senza dirlo in maniera esplicita, sottintendono un riferimento
costante alla doppia misura del "prima" e dell'"oggi", in cui si
incunea tutta la precarietà di un divenire che non risparmia
neppure le sponde ma le aggredisce e le modifica al pari del resto.
Di qui passa la trasformazione contestuale del senso stesso del
mutamento che da verità ontologica si rimodula in scoperta
empirica e contingente, sempre passibile, come sponde del fiume,
di erosione e di scavo.
Prende consistenza, allora, un secondo movimento di
reversibilità che (secondo uno schema caro a Braudrillard) torna
a conferire alla letteratura un ruolo essenziale e costruttivo.
Il debito contratto con l'esistenza oggettiva del fiume e della sua
storia si converte nel contributo vitale che la poesia è in
grado di esprimere, nel momento in cui, eternando il Tevere nelle forme
della scrittura, non si limita ad esserne una testimonianza permanente,
ma prende direttamente il posto della storia, anzi fa essa stessa
storia.
Filippo Bettini