Se una città può suscitare un'emozione, credo che Roma sia, tra tante, quella che più riesce a farlo in un modo del tutto particolare, non solo affascinando chi la osserva, ma circondandolo di un'aura unica, fatta di luce e di bellezza, di tutta la storia che l'ha resa, nei millenni, una città eterna.
Sono colori, sono forme, sono quel misto quasi onirico di antico e moderno, tutto quanto è qui e parla della civiltà dell'uomo.
In questo senso, io credo, Roma è certamente una "Patria Comune", il luogo dove si trovano, si sviluppano e si intrecciano eredità storiche, culturali, religiose le più differenti, dando origine a quell'incontro che è, insieme, interpretazione architettonica e spaziale, elementi cromatici, disegno, armonia, tempo.
Per questo, forse, Roma è stata da sempre oggetto dell'espressione artistica di pittori, poeti, musicisti, che alla sua storia e alla sua profondità si sono ispirati, ne hanno cantato tratti e caratteri, ne hanno immortalato la storia e i personaggi.
L'idea di realizzare un'ampia raccolta di quanto poeti e scrittori di ogni tempo e nazione hanno prodotto parlando di Roma mi sembra pertanto non soltanto un'ottima maniera di rendere omaggio a questa città eterna, crocevia di civiltà, ma un modo fertile e appassionante di accostarsi, grazie alla magia delle parole, a una materia così particolare e vasta.
Come amministratori, inoltre, credo che questa sorta di particolarissimo inventario sia un'ulteriore spinta a continuare con impegno e amore il lavoro di conservazione, difesa e promozione di un patrimonio monumentale, artistico e culturale che non ha pari al mondo.
Una città non può essere soltanto un luogo topografico, nel quale si intrecciano strade e costruzioni. Una città è composta dalle storie di tanti universi urbani nei quali si intrecciano le nostre vite, nei segni, nelle vicende, nelle parole con le quali, appunto, noi costruiamo le nostre città.
Proprio un poeta, John Donne, ha scritto: "Nessun uomo è un'isola a sé stante, ognuno è parte di un continente. "
E' un altro passo verso il nostro progetto di una città viva, a tutto tondo, una città che racconta e si racconta, per una comunità di persone che si allarga dal passato al futuro, dal centro alle periferie, da queste all'Italia e al mondo.
Walter Veltroni
Raccogliere tutte te poesie che riguardano Roma è un'idea eccezionale, un grande omaggio a questa straordinaria città, capitale d'Italia, ma anche capitale della cristianità ed esempio unico di storia, cultura, arte. Roma in poesia è, dunque, un volume destinato a colmare un vuoto, un volume prezioso, la cui lettura consiglio a tutti, romani e non.
Nelle tante e tante poesie raccolte, infatti, emerge non solo la grandezza della città, ma anche lo spinto dei cittadini, quello spirito romanesco, che è, al tempo stesso, cultura e tradizione.
Grazie, dunque, agli autori; grazie a tutti coloro che, nei secoli, hanno voluto dedicare poesie a Roma; grazie, infine, a tutti i romani, sempre pronti alla battuta, sempre pronti a sdrammatizzare, sempre orgogliosi della loro romanità.
Francesco Storace
Si parla spesso di Roma come di una città "speciale", amata dagli intellettuali di tutto il mondo, testimone vivente delle grandi opere del passato ma anche metropoli del futuro, aperta a tutti i temi della solidarietà e dell'impegno culturale.
Il "thesaurus" della poesia del mondo su Roma realizzato dalla Associazione Culturale Allegorein è un'opera pregevole che sottolinea questa "specialità": attraverso un suggestivo viaggio nel tempo e nello spazio possiamo ripercorrere mille immaginari romani vissuti attraverso le chiavi dell'emozione, della conoscenza, della riflessione e dell'arte.
Dalla latinità ai nostri giorni, questa città continua ad ispirare poeti e scrittori di tutto il mondo, dando agli artisti un senso di appartenenza che rende davvero questa città una "patria comune".
Ripercorrere la storia seguendo il filo di questa ispirazione è emozionante per tutti noi, e forse, attraverso i versi di tanti poeti, ci dà la possibilità di imparare a capire ed amare meglio la nostra città.
Gianni Borgna
"Roma non è l'antico, l'antichissimo centro della trascorsa storia universale, è, come vediamo e come sentiamo ogni giorno e ogni ora, se siamo attenti, l'odierno centro del mondo...non New York è l'odierno centro del mondo, non Parigi, non Londra, non Tokyo, non Pechino e non Mosca, come leggiamo e sentiamo dire dappertutto, no, è Roma, oggi è di nuovo Roma, non posso dimostrarlo, in ogni caso non con le mie parole, ma lo sento."
Ho riportato un passo famoso del romanzo Estinzione [Ausloschung] - che porta il sottotitolo Uno sfacelo [Ein Zerfall] - dello scrittore austriaco Thomas Bernhard, pubblicato nel 1986. Un romanzo che conclude l'opera al nero di "estinzione dell'origine" che questo genio europeo del secondo Novecento ha compiuto sulla sua vita, sul suo luogo natale, sulla propria famiglia, sulla patria austrìaca, sulla loro epoca coeva, fino alla parentela germanica. E sulle loro storie: una dentro ognuna altra, tutte dentro di sé a vicenda, nel grembo stretto dell'Europa continentale. Il luogo terminale - e "ideale", anzi concreto, terrestre e centrale lì dove il genio dello sfacelo può operare con "indipendenza e incorruttibilità" e portare al compimento l'estinzione che da tempo, da tutto il tempo precedente, era in mente e in cammino - è Roma, per Bernhard. La città che si sceglie e dove ci si trasferisce; non quella dell'eterno ritorno alla origine di sé - di sé persona e di sé città - come fu per Kafka la necessità murale di Praga. [Kafka è sempre presente in Bernhard, l'unico scrittore germanico, insieme all'adorata amica Ingeborg Bachmann, ad essere amato].
Roma ha il potere immaginato e letterario - dico immaginato, e non immaginario, perché voglio dire attivo ed efficace e non virtuale e generico - di permettere l'estinzione dell'altrui radicamento della provenienza, il fardello originario del forestiero, quando esso sia venuto oramai alla luce come gobba ed oscena imperfezione, insana e storta incapacità infelice. Roma è il ritrovo di tutti i diversi, di tutti quelli che hanno avuto un'origine e poi hanno voluto estinguerla.
Roma a sua volta, non è soltanto la perenne [per annos] allegoria della costruzione urbana perenne [per annos e per generazioni] di cui parla Cicerone, o quella melanconica del centro imperiale della coda mediterranea dell'Asia e della perennità finita (di sé, della coda, dell'impero, delle pietre e dei segni); di una storia dell'ormai: "trascorsa" e rovinosa (Du Bellay-Quevedo-Pound). Tantomeno Roma sembra aver acquistato qualche nuovo potere da quando è stata ri-capitata: da capo del mondo a capitale di una nazione tardiva, sgangherata, pessima.
[Ho citato fino ad ora il romanzo Estinzione (Milano, Adelphi 1996) alle pagine 156-157; da ora in poi passo alla pagina 300 e alle sue seguenti].
Roma ha un potere mondiale suo tuttora, forse universale. Una parola che aborro e che ho cancellato da molti anni dal mio uso, ma che qui ora può essere adatta e utile per indicare qualcosa - il potere dì un luogo-città, nel nostro caso - che sembra fare lo stesso effetto a chiunque venga da fuori: permettergli di estinguere definitivamente l'origine, se è questo che va facendo.
"La parola Italia è sempre stata anche per i miei sinonimo di situazione caotica, del paese dalla situazione caotica per eccellenza [...] avevo detto che a indurmi a fare dell'Italia la mia residenza era stata proprio quella situazione caotica, proprio Roma, dove estreme sono la situazione caotica, le imprevedibilità, le impossibilità, come ho sempre detto loro. Proprio perché l'Italia è il paese più caotico d'Europa, probabilmente il paese più caotico del mondo, ho detto loro, è la mia residenza, Roma il centro del caos...".
Seguendo Bernhard, voglio io dire, banalmente io, e giammai e in qualsiasi modo lui attraverso di me, che Roma è centro del caos delle città caotiche, europee e forse del mondo? E in cosa consisterebbe, allora, il suo potere? E perché non Il Cairo, Città del Messico o Calcutta? Forse perché Roma segna il centro del caos d'Europa e al tempo stesso la sua frontiera (del caos europeo) verso gli altri caos urbani del mondo, o addirittura verso il Tutto-Caos, come direbbe Glissant, lo scrittore caraibico? E perché e per chi, estinguere l'origine sarebbe una salvezza? È Roma L'ancora e la fabbrica, la sede perdurante della cura? È necessario e giusto? È bene estinguere l'origine? Che se ne ha, in cambio?
Non so rispondere a queste domande. Sono arrivato a porle, ma questo non vuoi dire che io sappia rispondere, che proprio io abbia di che rispondere a loro. [Anche se proprio io, mi trovo nella stessa situazione del romanzo Estinzione, pur non essendo austriaco, ma del sud]. E tutto questo nemmeno vuoi dire che tali domande siano giuste e piene di senso, o interessanti e importanti, o che, se mai, possano esserlo. 0, in ultima chance, che sia ragguardevole, o, ancor meglio, che lo sia stato, l'averle pronunciate. Forse sono eccessive, o esagerate. 0 lo sono io, eccessivo ed esagerato. Oppure, tutto questo discorso anche e insieme alle domande lo sia, facendo per loro, come sembra essere, da congruo strascico. Ma, come dice Bernhard - che al suo personaggio fa affermare dì essere "il più grande artista dell'esagerazione che io conosca" - "[il] fanatismo dell'esagerazione, quando riesco a farne un'arte dell'esagerazione, è La sola possibilità per salvarmi dalla miseria della mia disposizione d'animo, dal mio tedio spirituale..." (pagina 464, ora).
Rileggiamo le pagine 300-301 di Estinzione: Roma è nominata come il centro estremo del caos europeo (e forse mondiale) dove si concentrano le imprevedibilità e le impossibilità. Di cosa fanno il centro estremo le imprevedibilità e le impossibilità, il loro accadere propriamente e non il loro "ideale" darsi: quello dell'astrazione; come se fossero l'imprevedibilità e l'impossibilità? No, invece la loro accurata e concreta pluralità numerevole. Quale nomina viene assegnata a quel luogo che sembra essere il centro estremo del caos dove (e perché?) è possibile che accadano le imprevedibilità e le impossibilità? È proprio l'ultima targa della nomina, quella delle impossibilità, a suscitare perplessità nel regime logico del suo testo. Anzi, più che di perplessità dovrei dire: essa è la targa che fa il giro intorno a se stessa. Riformuliamo la frase: Roma è il centro estremo del caos, ed è estremo e centrale al tempo stesso, perché lì [qui] sono possibili le imprevedibilità e le impossibilità. L'aria che si respira qui è la sola giusta per portare a termine l'estinzione dell'origine. Roma è il luogo dove si può, nel caos aborigeno delle imprevedibili e impossibili evenienze, aver ragione della propria appartenenza ad un'origine ed estinguerla in questa luce, diventando straniero nella città dove da più tempo chiunque può sanarsi dalla piaga dell'origine e diventare cittadino (civis) della multiversa estraneità. Questo centro del caos accogliente segna l'estremità e il bordo lungo il quale l'estinzione dell'origine può trasformare chiunque (tutti noi) abbia una vita in uno che ne ha una nuova, o meglio renata, re-originata. Bernhard ha raccontato la storia di questa impresa ragionevolissima, eppure assurda per certe menti, o estenuante. Ha raccontato esattamente e proprio ciò che si può raccontare. Il che significa: ciò che si può dire di ciò che nessuno dice, ma che vorrebbe volentieri ascoltare quando e se qualcuno arrivi a dirlo. Roma, allora, potrebbe fare da centro del tempo dell'ascolto delle voci e delle storie - mi viene in mente, proprio ora, la protagonista di un romanzo di un altro scrittore germanico che ha vissuto a lungo nelle vicinanze di Roma, Momo, del 1973, di Michael Ende. La sede del tempo delle storie, di tutte le storie, che possono essere raccontate. Fino all'estremo del loro complesso immaginato; e quindi la sede del tempo anche di tutte quelle imprevedibili e delle impossibili. Così, forse, agisce la relazione canuta tra La storia di Roma e l'esistenza della letteratura, almeno in Europa. Roma è la caotica sede dell'opera dell'estinzione dell'origine, della nomina a cavaliere dell'estraneità e del sedersi del tempo che accoglie tutte le storie che possono, dovranno poi, essere raccontate ovunque, come da ovunque sono venute. Visto che Roma c'è, da prima, ma già dentro quel tempo. E che chiunque può ancora venirci a vedere come va il mondo. Anzi, dovrebbe venire apposta per questo. A viverci anche, per qualche tempo o di più.
Fino a che l'imperatore Marco Aurelio, come una statua, impedirà l'estinzione della realtà, tenendola nella sua mano vuota, apposta. Fino ad allora, Roma sarà la custodia preesistente e viva di tutte le origini, estinte e nuove, e di tutte le storie. Il centro caotico delle loro migrazioni.
[Io non so se il caos amato da Bernhard rimanga necessario in tutto questo che ho pensato attraverso e dopo la sua narrazione. Quel caos, se potessi, io lo estinguerei definitivamente. Per dare anche alla città una sua storia nuova. E un caos diverso. Li merita, da parte della nostra generazione di viventi.
Così io abito a Roma, ma non sento la città come una volta, quando ci arrivai e ci restai; non mi attrae più il suo centro. Penso che sì sìa estinto dentro di me. Questa è un'altra storia.]
Armando Gnisci